Un esordio interessante che molto se la gioca sul fronte strumentale per quanto in rete abbiamo già conosciuto il singolo “Missing the fourth” che è una perfetta bandiera di come gli Unkle Kook pensano al surfing e allo stile estivo del rock’n’roll. Ma questo primo disco dal titolo “Coming in Bunches” ha tantissime derive da giocarsi e un modo anche acido di pensare alla ricerca di personalità. Acida, ruvida, a tratti anche apocalittica…
Nascono gli Unkle Kook per noi con questo disco. Per la verità quando nascono per davvero? Esiste un momento preciso in cui avete detto: ok si parte?
Il 2019 è stato l’anno di inizio, si è cominciato suonando brani storici, giocando sul Pulp e sulla surf music. Intanto vengono fuori idee di brani originali ma l’esordio è stato subito spendo dalla pandemia, il primo concerto con qualche brano originale e saltato e quindi ci siamo detti: non si possono fare il live! Scriviamo dei brani e facciamo un EP. Così è nato Surf beat il nostro primo EP uscito nel 2021. A quel punto è arrivato l’album in poco tempo.
La surf music arriva sicuramente da tutt’altra parte che Bologna… dischi e artisti che vi spingono in quella direzione? Da quali ascolti arriva la vostra contaminazione e quali invece cercate di inseguire?
Il rock’n’roll è sempre stata una musica molto ascoltata in casa, da bambino. Sul genere specifico in casa c’era un 33 giri di The Shadows suonato e risuonato. Poi i capisaldi del genere, in assoluto Dick Dale. La verità resta comunque quelle che la surf music è stata un pò una scusa, non siamo dei puristi. Non c’è un limite imposto tant’è che Comin’ in Bunches è un disco che su 10 tracce ne tiene giusto quattro molto affini al genere.
Il punk e il rock anche… non solo i Balcani e la Calypso. Il pop e l’Italia? Totalmente esclusi dai giochi?
Nulla escluso, alcuni temi sono ispirati dalla musica colta quindi anche se il pop italiano dovesse diventare una fonte perché no! Al momento resta comunque a distanza di sicurezza…
Il deserto. La sete… ma un cielo in festa, allegro… i colori sono accesi ma non violenti. La lunga processione di ramarri… come si legge questa copertina?
Nelle ore più calde il deserto non è ospitale alla vita, l’unico insetto che lo attraversa in quelle ore è la formica, capace di muoversi così rapidamente da non scottarsi. Le lucertole “arrivano a frotte” appena la temperatura si placa ed hanno fatto fuori tutte le formiche.
E poi la ricerca: “Rango” o “Astro” sono momenti davvero diversi da tutto il resto del disco. Pura improvvisazione o cosa?
“Astro” è uno dei primi brani composti, il tema è molto surf ma la scelta di muoversi altrove è ben specifica, racconta di una stella che esplode appena riconosce l’essere umano che vuole dominarla.
“Rango” è uno dei brani dove ci ritroviamo di più al momento.
Sfrecciamo su una statale infinita, dal tramonto all’alba, sulla nostra decappottabile di grossa cilindrata, un po’ sudicia nell’aria polverosa. L’umidità sale dalla terra rossa e arida di un deserto marziano, mentre il sole fa capolino tra i canyon, gettando lunghe ombre sulla nostra strada, metafora di un futuro che ci attende, nostro malgrado. Ballad ecologista? Romanza nichilista? Dove si incontrano speranza e rassegnazione? I timpani e il basso scandiscono un tempo funesto. Il marcio della chitarra e il biascicare del sassofono si rispondono e si inseguono, poi si intrecciano in una danza come due amanti speranzosi, o disperati, senza mai riuscire veramente a stringersi. Il caldo che sentiamo non è quindi quello di un abbraccio d’amore, ma è l’afa, che ci incolla la sabbia sul viso, in un mondo che dell’acqua ormai ha solo il ricordo.
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