♪ PAREIDOLIA MUSICALE ♪
Rubrica a cura di Andrea Gioè
- Raccontaci brevemente chi è Michela Lombardi.
Michela Lombardi è una persona che fin da bambina sognava di cantare; che è entrata nella sua prima rock band a quattordici anni e da lì in poi non si è più fermata: rock, soul, blues, funk, dance, pop (scrivendo anche per altri), cantautorato (ho vinto anche il Premio Ciampi per la migliore cover), world music, bossanova, soprattutto jazz… Vorrei dirti che mi mancano giusto la musica celtica e quella barocca, e invece ho trovato il modo di fare delle cose anche in quei mondi lì! Recentemente, pensa, mi ritrovo anche a recitare (“Pierino e il Lupo” e “Rodari InCantato” con il Quintetto Lucensis). Sono anche songwriter e ho realizzato quello che credo sia il sogno di ogni songwriter: firmare un brano con il leggendario Burt Bacharach. Da dieci anni insegno canto jazz al conservatorio, e adesso – dopo aver viaggiato tra Livorno, Sassari e Monopoli – sono di ruolo al Conservatorio “Puccini”, La Spezia.
- Per la playlist AIA Artists for Spotify ci hai proposto “The Windmills Of Your Mind”.
Cosa significa per te questa canzone? Chi l’ha composta? Che risultati hai già ottenuto? Dove desideri possa arrivare?
Quando nel 2018, con il Piero Frassi Circles trio insieme a Gabriele Evangelista e Bernardo Guerra(lo stesso trio che è da tempo in tour con la mia cara amica Karima; bassista e batterista sono gli stessi che suonavano in ogni puntata di “Via dei Matti n°0” con Stefano Bollani) abbiamo registrato il cd “Shape Of My Heart – The Music Of Sting” (Saifam), abbiamo voluto includere nel disco questo brano che non è di Sting bensì del geniale compositore francese Michel Legrand, col quale Stingaveva lavorato interpretandone i più famosi successi. È stato interpretato anche da due voci femminili che adoro – Dusty Springfield e Dianne Reeves – e mi piace molto cantarlo dal vivo perché lì esce tutto il mio bagaglio espressivo e tecnico: c’è jazz ma anche soul, c’è un testo denso e intenso (opera dei famosi coniugi Alan e Marilyn Bergman), ci sono note molto “challenging” e un groove trascinante. Originariamente in francese (“Les moulins de mon cœur”), premio Oscar per la miglior canzone nel 1969, ne esistono ben tre versioni in italiano. Forse perché il mio disco è uscito nel mese in cui Michel Legrand ci ha lasciati, spingendo molti ascoltatori a cercare i suoi brani su Spotify, sta di fatto che in moltissimi lo hanno ascoltato e aggiunto a playlist, facendo balzare in alto gli ascolti. Nel momento in cui scrivo, siamo a circa 606mila streaming. Dove desidero possa arrivare? Al milione!
- Per quale buona ragione la gente dovrebbe ascoltare e acquistare la tua musica?
Nei miei dischi si trovano sia brani miei sia cover. Gli inediti si trovano soprattutto nei dischi “So April Hearted” (2009), “From Distant Shores” (2015) e “Pagine Vere” (2021), pubblicato con l’omonimo trio di cui faccio parte insieme a Giovanni Ceccarelli (pianista e autore delle musiche) e Luca Falomi(chitarrista): in questo disco sono presenti molti testi miei, e tra l’altro ci sono in veste di ospiti speciali alcuni musicisti favolosi che sono anche grandi amici, come Petra Magoni, Ferruccio Spinetti, Dadi Carvalho e Stéphane Casalta. Tuttavia facendo jazz c’è del mio anche in ogni cover: un jazzista, improvvisando, compone in maniera estemporanea. Ogni musicista che suona nei miei dischi riversa nelle tracce anni di vita, passione, esperienza, nonché fiumi di energia. Quindi la ragione per cui faccio musica, che è l’urgenza espressiva e il desiderio di aggiungere bellezza e conforto alla vita di chi ascolta, è anche la ragione per cui – secondo me – varrebbe la pena ascoltare quello che facciamo.
- Sei mai stata definita la copia di qualcuno?
Non mi pare. Soprattutto nei primi tempi, ci saranno stati sicuramente dei periodi in cui mi infervoravo per qualche cantante cercando di imitarla in ogni sfumatura, per impadronirmi di ogni colore possibile da aggiungere alla mia tavolozza. Ma credo, alla fine, dopo tanto girovagare, di aver trovato la mia maturità e quindi la mia voce.
- Quanto contano veramente per te le tue canzoni?
Se si parla delle composizioni scritte da me, nei miei pensieri stanno contando sempre di più, ultimamente: a due anni dall’uscita di “Pagine Vere”, la necessità di fermarmi e tornare a scrivere sta quasi per traboccare. Quest’estate mi prenderò un po’ di riposo dai concerti – l’estate scorsa ero sempre in giro, ma è comprensibile, dopo la pandemia! – e mi concentrerò su quello. Già adesso sto lavorando ai testi di un progetto con musiche di Riccardo Fassi, ma l’intenzione è quella di lavorare anche a un disco in cui compongo tutto, musica e parole.
- Sai cos’è la Pareidolia? Mentre stai rispondendo a questa intervista, alza gli occhi al cielo (guarda fuori dalla finestra) e dimmi cosa vedi?
Per un’adoratrice di Joni Mitchell, “pareidolia” corrisponde ai primi versi di quel capolavoro immenso che è “Both Sides Now”: «Rows and flows of angel hair / And ice cream castles in the air / And feather canyons everywhere / I’ve looked at clouds that way». E se guardo fuori, ora che è buio, vedo un palazzo con una fila orizzontale di finestre accese che mi ricorda l’aereo che prendevo la sera da Bari quando tornavo a casa, in Toscana, dopo aver insegnato tutta la settimana al conservatorio “Nino Rota” di Monopoli, una città che mi ha preso il cuore. Mi ero ripromessa che anche adesso che col lavoro mi sono avvicinata a casa… prima o poi ci sarei tornata, e infatti lo farò tra pochi giorni, per assistere alla laurea di tre mie ex allieve. Sono passata dall’essere terrorizzata dall’aereo all’essere felice solo quando sto tra le nuvole. Tutto è possibile.
- Quanto tempo dedichi alle tue composizioni musicali?
Durante l’inverno, periodo in cui insegno moltissimo al conservatorio, posso dedicarmici poco, ma in realtà succede che ogni giorno io tiri fuori dal cilindro un testo estemporaneo, scritto in pochi minuti, da cantare su un particolare assolo jazz o «etude» (assolo didattico) che voglio far memorizzare in maniera efficace e divertente ai miei allievi: in pratica trasformo in metodo didattico il cosiddetto “vocalese” (il particolare ramo del jazz in cui si cantano assoli con un testo, un’arte i cui maggiori esponenti sono Eddie Jefferson, Jon Hendricks, Annie Ross, i Manhattan Transfer, Giacomo Gates e Kurt Elling). Quindi, insomma… di creare non si smette mai!
- Se dovessi definire le tue canzoni come figli, potresti dire di avere un figlio prediletto?
Se parli di una canzone scritta da me, forse “Your Grace”, un brano presente su “Gently Hard”, il mio disco d’esordio uscito nel 1999 quando incidevo col nome d’arte di Malina. Era un mio personale omaggio ai Beatles, l’avevo scritta – musica e parole – avendo in mente “I Will” di Lennon & McCartney. Se parli invece di una mia cover, direi la mia versione di “Don’t Let Me Be Lonely Tonight” di James Taylor impreziosita da un solo di sax di Nico Gori.
- Qual è stata l’esperienza musicale più figa che hai vissuto in tutta la tua carriera?
Cantare all’Opera di Tel Aviv in una serata dedicata a Chet Baker è stato sicuramente qualcosa di memorabile, così come firmare un brano con Burt Bacharach (l’adattamento ufficiale in italiano del suo “How The Heart Knows”), ma se dovessi dire la cosa più importante che ho fatto non esiterei a menzionare i due dischi che ho registrato con il grande sassofonista Phil Woods (“Michela Lombardi & Phil Woods Sing & Play The Phil Woods Songbook”). Di solito sono gli artisti meno famosi a contattare le leggende e a chiedergli di suonare in un loro disco; invece in questo caso avvenne il contrario: Phil mi cercò – tramite il mio discografico Paolo Piangiarelli dell’etichetta Philology – per avere da me soltanto un testo in italiano per il suo brano “Sunset in Urbino”, ma quando gli inviai un demo in cui gliela cantavo (per fargli sentire come suonavano le parole che avevo scritto) si innamorò anche della mia voce. Così mi chiese di scrivere altri testi (anche in inglese) per sue composizioni, e di registrarne con lui una ventina. Avrebbe potuto chiamare qualsiasi cantante americana, e invece… andò a cercare una rossa di Camaiore!
- Quanto è versatile la tua voce?
Vedi la risposta alla prima domanda, qua sopra. Non chiedetemi il death metal, ma per il resto… ho davvero cantato di tutto!
- Quanta verità ci sta in quello che canti?
Se non riuscissi a essere sincera quando canto, che canterei a fare?
- Ti senti più Dr. Jekyll o Mr. Hyde?
…mi sento più Dr. Jazz e Mr. Funk! (Ok, forse sono la millesima persona che ti ha fatto questa battuta/citazione dai Ladri di Biciclette di Paolo Belli, vero?). Forse entrambi, visto che da sempre le persone mi fanno notare come io sia timida e quasi spaventata, giù dal palco, mentre quando invece salgo su mi trasformo totalmente!
- Artisticamente parlando… cosa ti ha fatto più incazzare in questi anni?
La disattenzione con cui si ascolta la musica. Quando si ascolta una canzone si dovrebbe cercare di contestualizzarla in un disco ben preciso e sapere chi ci suona. Dei dischi che mi facevo regalare da ragazzina, pianificando con mesi di anticipo la lista dei “desiderata”, conoscevo ogni angolo, ogni sfumatura, e ancora oggi te li so ricantare in ogni dettaglio. Cosa resta, invece, dopo un ascolto distratto?
- Qual è stato il tuo rimpianto artistico più grande?
Aver avuto un po’ troppa paura di fare un’esperienza in America. La mia musica ci è andata; io – tranne un breve giro di pochi giorni – invece no. Nonostante il fatto che un musicista di lì mi avesse invitato a passare un periodo a New York. Ma chissà, forse sono più tipo da Parigi (dove ho già cantato al jazzclub “Duc des Lombards”), Lisbona o Berlino. C’è ancora tempo. Ho invece cantato spesso a Londra, avendo fatto un disco con Francesco Lo Castro, un chitarrista che vive lì.
- Nel cassetto dei tuoi sogni ci stanno tre duetti. Se potessi dargli un nome, a quale artista preferito li attribuiresti?
Il duetto è una cosa molto particolare. Ci sono cantanti che adoro ma con cui magari non duetterei mai. A esser sincera, ora che mi ci fai pensare vorrei duettare con voci maschili proprio per il gusto di sentire le due paste vocali così diverse intrecciarsi e gettare luce l’una sull’altra. Come ti dicevo, in “Pagine Vere” duetto con tre cantanti fantastici (Dadi Carvalho, Petra Magoni, Stéphane Casalta), cantando in portoghese, francese, inglese e còrso. In passato ho inciso duetti con Matteo Becucci e Matteo Brancaleoni. I miei tre duetti “nel cassetto” sarebbero con Gregory Porter, Sting (visto che gli ho dedicato ben due dischi!) e Kurt Elling.
- Chi è il tuo fan più fedele e sincero?
Mio padre, senza dubbio. Fedelissimo, mi ha sempre appoggiata e accompagnata nelle prime esperienze. Fin troppo sincero, poi: mi ha sempre detto cosa andava e cosa no, secondo lui, nella scelta dei brani da cantare, e… vuoi saperlo? Ha sempre avuto ragione!
- Eventi e progetti futuri ne abbiamo?
Oltre a quelli miei di cui ho già parlato (e ai concerti di cui parlerò nell’ultima risposta, invitandovi!) ci saranno un paio di date estive piene di soul e r’n’b con l’Ensemble Vocale Jazz del Conservatorio “Puccini”, diretto da Piero Gaddi con l’ausilio mio e di Riccardo Grandini: in questi concerti Karimasarà nostra ospite speciale, e in particolare in uno di questi concerti faremo da «opening act» a una formazione a dir poco leggendaria, ma non posso ancora anticipare niente… Seguite il nostro profilo Instagram @conservatoriopuccinilaspezia e presto vi sveleremo di chi si tratta!
- Manda un saluto speciale a tutti i lettori del MEI e dicci dove possiamo trovarti e ascoltarti.
Vi ringrazio di vero cuore per l’intervista e per l’attenzione e la pazienza che avete dimostrato se siete arrivati fin qua, sono una gran chiacchierona! Vi aspetto, se vorrete, il 6 aprile all’Auditorium Corelli di Fusignano, in provincia di Ravenna, dove con il Nico Gori Swing 10tet prenderemo parte alla rassegna Jazz Crossroads. Poi il 21 aprile a “La Terrazza del Forte”, a Forte dei Marmi, con il già menzionato Piero Frassi Circles trio faremo i brani di Sting (sia dal già menzionato “Shape Of My Heart” sia dal nuovo “When We Dance – The Music Of Sting, vol. 2”). Il 28 aprile a Firenze con la Fonterossa Open Orchestra diretta da Silvia Bolognesi faremo un concerto con la grande flautista jazz Nicole Mitchell, a conclusione di tre giorni di una residenza artistica in cui non vedo l’ora di immergermi. A maggio, invece, con l’Ensemble San Felice (ve l’avevo detto che ho progetti anche contaminati con la musica barocca!) diretto da Francesco Bardazzi saremo ad Acquasparta per tre concerti (19-20-21 maggio) con un progetto teatral-musicale. Non mancheranno, in estate, concerti dedicati a Burt Bacharach, Piero Ciampi e… Madonna (perché nel nostro disco “Live To Tell”, voluto da Alfredo Saitto e pubblicato dall’americana Dot Time Records, con Riccardo Fassi, Luca Pirozzi, Alessandro Marzi e gli ospiti speciali Steven Bernstein e Don Byron, abbiamo ripensato interamente le hit della regina del pop rendendole nostre: è così che funziona il jazz!). Vi aspetto a braccia aperte e voce spiegata!