Esce venerdì 28 ottobre 2022 l’album di debutto del progetto Gamaar, fondato dalla cantautrice e produttrice bresciana Gabriella Diana. Un nuovo capitolo che prende il nome di “Kafka For President”, un disco arrabbiato: nuotando nell’assurdo, racconta cosa succede alla mente quando galleggia e quando affoga. Vivendo in una società capitalista, una società della performance, del consumo, dello sfruttamento lavorativo, del trauma, del privilegio e della discriminazione, cosa succede alla nostra salute mentale? Si rompe, si contorce e resiste. Un alternative rock che sa di anni 90: suoni acidi e distorti, batterie energiche e ritmiche scomposte, quasi nevrotiche, con un cantato recitato, urlato, talvolta morbidamente malinconico.
“In qualunque posizione stai pur sempre nella tua prigione. E la tua mente tenta l’atterraggio, la tua cravatta diventa un cappio” dice il testo del brano che dà il nome all’album di debutto dei Gamaar, il quale rende bene i temi del disco: claustrofobia sociale, frustrazione e l’esistenza come esperienza assurda e casuale alla quale sta a noi dare senso e bellezza.
Reduci da un live dove hanno condiviso il palco con le Endrigo, li abbiamo intervistati.
Sappiamo che questo progetto è iniziato come un progetto solista. Cos’è cambiato nel frattempo? E quando avete capito che eravate una band a tutti gli effetti?
Gabriella: E’ cambiato tutto un po’ quando ho cominciato a studiare arrangiamento e composizione al CPM Institute di Milano, dove ho capito quanta creatività ci sia dietro alla scrittura e alla produzione di un brano: prima di studiare arrangiamento, pensavo che per ciò che volevo dire bastasse una chitarra o un pianoforte, un testo e la mia voce. Sbagliato, o meglio può bastare se è una scelta, non un limite; io volevo avere consapevolezza di cosa usare, come usarlo e come dire quello che volevo dire. E una volta capito questo, formare una band è diventata una necessità. Suonare insieme, e sentirci vicini al messaggio e al sound dei brani, ci ha unito, ha creato sintonia e ammirazione reciproca.
Avete già avuto numerose esperienze live, soprattutto nel bresciano. Com’è andato il vostro ultimo concerto che vi ha visto condividere il palco con Le Endrigo?
Non è stato il nostro ultimo concerto, ma sicuramente uno dei più emozionanti: la Latteria Molloy è un locale storico a Brescia, ha ospitato nomi piccoli e grandi della scena musicale italiana ed è stata un’emozione incredibile suonare la nostra musica su quel palco. E’ stata una bella serata!
E, a proposito de Le Endrigo, come vedete il sistema televisivo e mediatico intorno al concetto di talent? È qualcosa che avete mai preso in considerazione?
Gabriella: Che domanda difficile. Personalmente trovo che i talent show abbiano fatto più male che bene al mondo della musica, e dell’arte, su più livelli. Se inizio a dirvi tutto quello che penso al riguardo potrei non finire più, quindi mi limito a dirvi che il modo in cui creano competitività, spettacolo, e a volte il modo in cui vengono ridicolizzati gli artisti nei primissimi provini, o il ridurre un micro-mondo artistico individuale in “sei vendibile o sei da buttare”, ha portato a concepire l’arte solo come prodotto, a trasmettere un messaggio al pubblico secondo me lontano dalla realtà e a monopolizzare le aspettative e i desideri del pubblico. Ma ahimè è quello che fanno i media, quindi non c’è da sorprendersi.
Prendiamo in considerazione i talent come prendiamo in considerazione qualsiasi palco, a maggior ragione se è un palco che ti porta molta visibilità molto velocemente, che però altrettanto velocemente può togliertela. Quindi sì, li consideriamo, consapevoli di cosa sono, perché esistono e a cosa potrebbero portarci: ma restare nella comfort zone per sempre non fa crescere, mentre i cambiamenti, e il dire sì anche quando verrebbe da dire no, può essere arricchente e interessante.
Ci sono possibilità concrete per i progetti indipendenti in Italia?
Il mercato è saturo, il poco spazio che c’è lo prendono talent e major: senza conoscenze e senza uno staff alle spalle è veramente dura farcela. Ma ha comunque senso che esista un movimento musicale indipendente in Italia, oggi più che mai. C’è bisogno di talento manageriale, capacità nell’utilizzo dei social media, un’immagine accattivante e definita e fondi da investire; fare tutto questo senza aiuti non è impossibile, ma difficilissimo, e richiede molto tempo. Se si crede abbastanza in quello che si fa, ci si arma di santa pazienza e di voglia di fare, credo che dei risultati possano arrivare, magari senza stadi o arene, ma sicuramente un “successo” diverso da quello che pensiamo solitamente quando guardiamo gli artisti in tv.
E adesso?
E adesso è uscito il nostro disco d’esordio “Kafka For President” dopo quattro anni di duro lavoro, pazienza e amore: dobbiamo cercare di farlo ascoltare il più possibile. Ed è solo l’inizio, spero, di un lungo percorso. Speriamo solo porti a crescita, comunione con le altre persone e che faccia star bene noi e chi ascolta.
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