Sono le 21.15 di un torrido giovedì di fine luglio in quel della Capitale, le strade di Roma iniziano a svuotarsi e le serrande dei negozi ad abbassarsi, chi per qualche giorno e chi, più temerario, per qualche settimana ma, se c’è un luogo che alla chiamata di una sicula doc, che chiamano la “Cantantessa”, risponde sempre, in qualsiasi giorno dell’anno ed a qualsiasi temperatura, quello è l’Auditorium Parco della Musica, il quale anche quest’anno delizia il pubblico capitolino con una programmazione che soddisfa tutti i palati musicali, come di consueto. Le luci si spengono e Carmen Consoli, 48 anni splendidamente adagiati su zeppe vertiginose e su una gonna longuette scintillante che da sola illumina il palco, dà inizio a quello che sarà uno dei suoi migliori live degli ultimi anni.
Le forme più dolci e belle rispetto alla ragazza mediamente isterica degli inizi, la chioma castana liscissima che incontra gli occhi grandi cioccolato, Carmen imbraccia la chitarra coadiuvata da una band formidabile, con lo storico Marco Siniscalco al basso, il fido Massimo Roccaforte alle chitarre, un energico Antonio Marra alla batteria, una statuaria Elena Guerriero alle tastiere, la potenza di Adriano Murania non solo al violino ma anche alla chitarra, per terminare poi con una splendida delegazione delle Malmaritate, ossia Emilia Belfiore al violino e Concetta Sapienza al clarinetto. Nonostante i concerti di Carmen siano praticamente sempre una certezza, un po’ come certi ristoranti o la pasta fatta a mano delle nonne, stasera l’aria di Roma è speciale, al punto che anche il meteo sembra piegarsi alla bellezza facendo arrivare una brezza dall’alto che pare benedire e sublimare queste due ore e passa di concerto in cui la Consoli è un vero caterpillar. Parte con il quintetto che arriva dritto dritto dall’ultimo lavoro della cantautrice, “Volevo fare la rockstar” (Polydor/Narciso Records, 2021), che inizia con “L’uomo nero” (Premio Amnesty International Italia 2022, a dodici anni dal primo vinto con “Mio zio”) e termina con “Armonie numeriche”, passando per “Sta succedendo”, “Mago Magone” e “Qualcosa di me che non ti aspetti”, per proseguire poi con le immancabili “Fiori d’arancio” e “Pioggia d’aprile”; di nuovo un salto all’ultimo album con la toccante “Una domenica al mare” – fra i testi migliori del disco, un invito a “respirare col cuore” mentre ci si gode la gioia della normalità e la preziosità della quotidianità, dove anche la malinconia e la nostalgia che fanno capolino sono necessarie – e si ritorna al glorioso passato discografico dell’artista con “Sintonia imperfetta”, “Guarda l’alba”, “Autunno dolciastro”, “AAA Cercasi”, “Blunotte”, “Contessa Miseria”, “Quello che sento,” “Orfeo”, “Parole di burro”, “Amore di plastica”, “Venere”: una scaletta al cardiopalma. Non pecco certo di blasfemia quando affermo che, se Chicago ha dato i natali alla sacerdotessa del rock Patti Smith, Catania ci ha regalato la cantantessa del rock italico che può tranquillamente aspirare al papato. Materna e sensuale, sempre sincera, nuda e cruda, Carmen Consoli ridisegna da quasi tre decenni i contorni del cantautorato italiano con una scrittura che è il perno di un caleidoscopio di sonorità potentemente policrome, con nomi affilati come lame e taglienti come spine che incontrano la dolcezza di verbi paterni, amorevoli e protettivi. C’è chi piange, urla e si commuove dinanzi ai racconti di una Sicilia antichissima, ancestrale e contemporanea come tutti noi, davanti alle centenarie affacciate alle finestre, alle morti inaspettate, al calore umano del cibo casereccio in tavola, al dolore di un diritto negato, di un amore sfregiato, un’amicizia chiacchierata, davanti al racconto di un falso affetto, una storia ipocrita, una madre manchevole, un figlio che è un’epifania e una spiaggia assetata di tramonto ed albe.
Carmen Consoli è tutto questo e di più, un unicum indissolubile in Italia e non solo per carisma, charme, fascino e grazia. Irrinunciabile “Tutto l’universo obbedisce all’amore”, soprattutto ora che è già trascorso un anno dall’addio all’amico Franco Battiato, ed il meraviglioso quadrumvirato si conclude con “L’ultimo bacio”, “In bianco e nero” e l’iconica “’A finestra”. Come prolungare la gioia di un concerto già perfetto così? Con l’entrata in scena di un’amica, una grande artista: come annunciato sui canali social poche ore prima, Marina Rei irrompe sul palco infuocato della Cavea dell’Auditorium e lo incendia ancora di più con il feat. su “Per niente stanca”, “Besame Giuda”, “Geisha”, per finire quindi in bellezza con “Confusa e felice”. Ecco, proprio la bellezza è stata il traino di questo concerto, in cui Carmen Consoli da Catania si appresta tra non molto a festeggiare un trentennale di musica senza compromessi, ammiccamenti ai fuochi fatui del momento e nella quale l’artista trova sempre il modo di reinventarsi continuamente pur nel mantenimento integro ed indefesso della sua stridente ed inquieta identità.
Torno a casa ancora ubriaca di questa bellezza, che stasera ho condiviso con Nicky, Ciacy e Giusy, tre ipsilon e tre amiche. Nicky mi dice che questo concerto le ha fatto venire la voglia di fare la mattata e replicarlo in Sicilia (oramai la conosco bene, so che lo farà), Ciacy è qui dopo una giornata lavorativa pesante, Giusy invece, che sarebbe dovuta rincasare prima del termine del live, alla fine è rimasta fino all’ultima nota: queste apparenti piccolezze mi fanno pensare invece a quanto grande sia la musica ed il suo potere, il potere di smuovere le cose, gli eventi, le azioni, le conseguenze, gli umori, la vita. Mi sento grata e benedetta, beneficiaria di tanta magnificenza che andrebbe sprecata se non avessi la fortuna della condivisione. Carmen Consoli voleva fare la rockstar e non solo c’è riuscita, ma ha fatto di più: ha unito le persone dando loro la possibilità di saggiare la “social catena” che decantava Leopardi, un coro unico di anime che più di altre hanno fatto propria “la diversità che è ricchezza”.
Francesca Amodio