In un incessante dialogo a tu per tu con il suo specchio, la voce della coscienza lo aiuta a far emergere i lati più scuri e nascosti della sua sfera emotiva, con l’intento di ricordare che anche il più profondo dei tunnel ha una via d’uscita luminosa.
Gli abbiamo fatto qualche domanda
Ciao! Benvenuto nel Meiweb, per i lettori che non ti conoscono: parlaci un po’ di te, chi è EverSte?
Sono un ragazzo di 21 anni che vive a Padova e suona il pianoforte. Mi chiamo EverSte perché significa che sono sempre io, Stefano, quello che si nasconde, o si mostra, leggetelo come preferite, dietro la musica. Scrivo canzoni perché fare musica mi fa stare bene e sento di avere delle cose da dire e da raccontare; le canzoni sono lo strumento più bello con cui riesco ad esprimere queste mie idee un po’ sognanti nella maniera più limpida.
Parole è l’ultimo singolo. Raccontaci un po’ come nasce e cosa vuoi trasmettere con questa canzone?
Parole è una canzone che rappresenta bene il mio lato un po’ introspettivo e meditativo: l’obiettivo è quello di provare a rileggere e fare luce su alcuni momenti di vita, non solo della mia, ma più in generale quella dei miei amici, dei miei coetanei, della mia generazione. Riflette sul peso e sul significato che hanno le parole, soprattutto quando le rivolgiamo contro qualcuno, o contro noi stessi. Spesso lasciano un segno difficile da scalfire. Possiamo rendere felice qualcuno, oppure ferirlo, possiamo entusiasmarci oppure deludere, stupire o ingannare. Le parole ci definiscono, ci condizionano ma soprattutto ci conducono ad emozioni intense, spesso difficilmente razionalizzabili.
In questo dialogo a tu per tu è la coscienza che prende la voce e ci aiuta a far emergere i nostri lati più nascosti, con l’intento di darci il coraggio per rialzarci e guardare avanti: <<Ricordati che se lo vuoi puoi farlo>>.
Il singolo è accompagnato da un videoclip, com è stato realizzarlo?
Il videoclip è stata una delle cose più belle che abbia mai fatto e di cui vado veramente fiero, soprattutto se penso al modo in cui è nato. Un’idea fulminante del mio amico Lorenzo Fortin che mi ha trascinato in un progetto che all’inizio sembrava troppo ambizioso, al netto degli strumenti, del tempo e del budget che avevamo a disposizione. Eppure abbiamo avuto il coraggio di rischiare qualcosa che forse era un po’ oltre le nostre possibilità, ma che in fin dei conti, è stato il segreto per raggiungere un risultato del genere: sperimentare e provare a concretizzare idee apparentemente irrealizzabili, senza porci troppi limiti e dubbi esistenziali sulla buona riuscita. Il simpatico titolo “unofficial” deriva proprio da questo.
Se dovessi descrivere la tua musica con tre aggettivi: quali sarebbero e perchè?
Credo che la mia musica attraversi sfere tematiche ed emotive molto diverse tra loro, che trovano però una sintesi nel desiderio di raccontare un vissuto: questo può essere reale o immaginato, o magari a volte è un miscuglio di entrambi, senza che il confine tra i due sia per forza chiaro e determinato. Nelle mie narrazioni amo inserire qualcosa di esplicito e sentito, che deve ritornare spesso nella canzone, a tratti quasi ossessivamente; poi però non deve mancare il lato implicito, un senso un po’ misterioso, magari ambivalente, che si nasconde sottotraccia. Credo che questa caratteristica rispecchi anche la mia personalità. In Parole ad esempio c’è la parte più dirompente che ti travolge attenuata da qualcosa di più nascosto, che sarebbe forse difficile definire e che viaggia in parallelo.
Ci sono nuovi progetti all’orizzonte?
Ci sono tante canzoni nel cassetto, alcune già pronte, altre in fase di lavorazione. Non vedo l’ora di farvele sentire. Tra queste ci sono dei singoli che usciranno a breve ma soprattutto c’è tutto il materiale per l’album a cui sto lavorando e che spero possa vedere la luce molto presto. Nel frattempo sto cominciando a suonare dal vivo, cantare live è un’esperienza pazzesca e me la sto godendo tutta. Per il momento mi esibisco soprattutto a Padova, la mia città, ma in futuro…