Alcuni nomi, alcune parole, hanno la capacità inspiegabile di profumare, proprietà che di solito non si ascrive di certo a fatti così astratti (almeno, per definizione) come i vocaboli.
Eppure sta anche in questo il grande miracolo dell’uomo, nella sua capacità demiurgica di sviluppare collegamenti tra isole lontane, erigendo ponti capaci di connettere sponde che appaiono distantissime solo se viste attraverso lo specchio distorto di qualche mappa concettuale, di qualche atlante categorico; saltano i riferimenti, mutano gli assiomi e si confondono le certezze nell’istintualità di un odore, di un colore, di un moto dei sensi che si solleva dalle pagine di un libro, dagli inciampi poetici scritti su qualche muro o sul sedile di un treno, o dalla tracklist di un disco che tanto ci piace, perché le parole sono quelle giuste, e hanno odori e colori, in un tripudio di sensi che di certo non si esaurisce nella limitazione del solo muscolo uditivo.
E’ il caso di “Bouganville” di Marsali: un connubio di vocaboli, bouganville e marsali, che aprono un ventaglio quasi archetipico di significati, ricordi, umori, odori, colori e voci della memoria, affondando le radici in un giardino collettivo comune, nel quale ognuno da poi il nome che vuole ai fiori che lo popolano. E sin dalla prima traccia dell’EP di Rebecca, questa matrioska di aromi finisce con il saltare al naso, prima ancora che all’orecchio: le canzoni di Marsali assumono profumi diversi che rimandano alla campagna dell’infanzia, alla salsedine del mare e ai ricordi delle galoppate verso spiagge arcadiche, all’odore che suda l’asfalto quando piove d’estate e i fili d’erba si seccano tra le pieghe del cemento…
Poi, ad una lettura olfattiva ancor più strutturata, quasi a voler indagare lo spettro aromatico di “Bouganville”, sono altri gli odori che saltano al cuore prima che al naso, o che forse arrivano al cuore proprio perché capaci di conquistare i sensi, passando per la vista (perché i colori di “Smarties” sono vividissimi, e le immagini poetiche di “La versione migliore di noi” sembrano polaroid che potresti aver scattato tu alla tua vita) fino ad arrivare al tatto (perché le corde di Marsali le tocchi, le senti scorrere sul petto attraverso la “nudità” dei brani): è l’odore dell’abbraccio della nonna, della carezza della persona amata, l’aroma dei vestiti impregnati da una bella giornata, delle serate passate a progettare esistenze impossibili – o almeno, che così appaiono sempre ma solo con il senno di poi – ma anche il sapore della sconfitta, della caduta da una bicicletta lanciata tropo veloce per la via, della pelle sgualcita da corde che legano troppo stretti i polsi.
E così ti immergi, e un po’ ti ritrovi nella fragranza di una storia che potrebbe essere la tua, snodata attraverso cinque canzoni ben prodotte da Nicola Marotta, capace di controsofittare la volta celeste di una “genuinità” autorale libera e mai addomesticata che si contrappunta delle giuste stelle, attraverso un atmosfera che guarda alla scena folk europea ma anche alle ultime derivazioni dell’urban e del soul.
Tra i sensi, con cognizione di causa, non abbiamo citato quello dell’udito, e la scelta non ha motivazioni “retoriche” o di comodo alla nostra tesi – che Marsali non sia soltanto “musica”: il fatto è che, alla fine dell’ascolto di “Bouganville”, ti accorgi di aver anche ascoltato un disco, consapevolezza che appare a quel punto ancor più emblema di un’esperienza che dalla musica parte per creare mondi concreti ed eterei allo stesso tempo, per poi tornare – a conclusione del giro – nuovamente a farci dire “che belle canzoni che ha scritto Marsali”.