Tutto rema in direzione della sospensione psichedelica, della ricerca di suono come di forma stando ben dentro la canzone comune che ha qui molti tratti di forti contaminazioni internazionali. Si intitola “Δόξα (Dòxa)” il progetto che da i natali ai PITCH3S, un duo formato dai batteristi Sergio Tentella e Davide Savarese. Turnisti ma anche compositori al servizio di un estro che pretende di deformare le regole quotidiane ma anche di rispettarle: quel che ne è venuto fuori è un disco decisamente interessante sotto tutti i punti di vista. L’uomo e la sua terra, il potere del suono digitale incontra il confine terreno dell’individuo e del suo stare al mondo.
Partiamo da questo titolo: cosa significa “Δόξα (Dòxa)”?
Dòxa è il nostro punto di vista. È ciò che si discosta dal propinarsi come verità oggettiva e come via maestra da seguire. Non assume i toni di un’opinione arrogante che vuol corrompere l’interlocutore o in questo caso l’ascoltatore, è una semplice opinione stilistico-musicale e di contenuti che rappresenta ciò che noi sentiamo di essere in questa fase.
La storia che regna dietro le trame di “Agafia” è assolutamente interessante. Secondo voi che deriva di vita è? L’uomo che si ricongiunge alla terra…
C’è molto fascino nella storia di Agafia e della sua famiglia. Una lettura sottolineata dalla solitudine e dalla posizione geografica è sicuramente quella del ritorno ad una vita più semplice e ad un modo di rapportarsi all’uso che si fa delle risorse naturali ed animali più genuino e sostenibile sul lungo termine. Ma più che ricongiunzione alla terra, l’abbiamo letta come ricongiunzione con l’Essere umano, una lezione di gestione del rapporto con l’IO, una durissima convivenza con ciò che tortura l’Uomo forse da sempre: una spinta alla relazione con il simile, il “barricare” costantemente ciò che è inteso come proprio, come proprietà privata, fisicamente e moralmente, nonché il rapporto con la morte e con la vita che una persona così sola immaginiamo affronti nella sua testa. Questa per noi era la parte affascinante.
E prendendo spunto da questo come da tante altre chiavi di lettura di questo disco, quanto tutto questo è stato ispirato dal tempo apocalittico che stiamo vivendo? In altre parole, sentite il bisogno di tornare alle cose vere della vita?
Dipende cosa si intende per “vero”. Sicuramente il disco è uno squarcio nella tela dei nostri ultimi due anni e dentro c’è un po’ di tutto: lutti famigliari, distacchi sentimentali e la nascita della nostra amicizia.
La pandemia, poi, ha ribaltato il nostro concetto di priorità più di quanto l’impatto con la vita non avesse già fatto prima e di sicuro ha giocato un ruolo fondamentale nel mood di scrittura.
In questo senso, vero per noi è prendersi cura di sé (Gift), è vivere l’amicizia e l’amore in maniera costruttiva (yardsale), è dar valore alle proprie emozioni senza soffocarle nel ritmo frenetico del quotidiano che ti spinge a buttarti nel torrente del consumismo e della saturazione degli impegni, è prendersi del tempo per coltivare quelle emozioni e farne fiorire un proprio pensiero (In my head).
In questo senso si, è tornare al vero, quel “vero secondo noi”.
E così anche la copertina del disco… il nulla attorno. Un deserto ma anche la rappresentazione del tutto… o sbaglio?
Si, esattamente, entrambe le cose. Il nulla attorno è un riferimento al titolo dell’ep, il deserto dell’opinione laddove le opinioni sono perfette nella forma ed invisibili (se non inesistenti) nel contenuto. La rappresentazione del tutto perché, riassumendo, in questo grande calderone ci siamo tutti dentro.
Parliamo di produzione… parliamo di ricerca. Dove avete spinto il suono e dove sentite di essere giunti? Un punto di arrivo o un punto da cui partire per nuove cose?
Non è né un approdo né un punto di partenza per noi.
Un punto di partenza in senso discografico sicuramente, ma a livello sonoro è una costante ricerca, una linea costante di apprendimento.