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Per Mezzogiorno In Musica Indie ecco la nuova Rubrica PAREIDOLIA MUSICALE ideata dal cantautore palermitano Andrea Gioè. Gli ospiti di oggi sono i Porfirio Rubirosa.

26 maggio 2022
  • Raccontaci brevemente chi è Porfirio Rubirosa.

Sono un cantautore di Venezia, ma con origini, di cui vado molto orgoglioso, anche lucane. Di Grassano. Ho pubblicato quattro album e vinto una Targa Tenco nel 2021 per il miglior album a progetto con Isola Tobia Atypical Club. Nelle mie canzoni parlo di concetti a me particolarmente cari. Anzitutto la perdita dell’individualità in favore, purtroppo, di un individualismo insipiente che diventa, infine, massificazione consumistica. Uso un registro spesso leggero, in tante occasioni anche divertente, ma i miei brani sono sempre molto amari. Lo sguardo triste e malinconico del comico quando scende dal palco, insomma.

  • Per la playlist AIA Artists for Spotify ci hai proposto “La ricetta contro il male”.
    Cosa significa per te questa canzone? Quando l’hai composta? Che risultati hai già ottenuto? Dove desideri possa arrivare?

Si tratta di una canzone di denuncia, contro una certa solidarietà di comodo, a favore di telecamera. Nella quale il confine tra compartecipazione ed interesse personale appare, purtroppo, assai labile, fino a sparire del tutto. L’ho composta all’indomani della strage del Bataclan, quando sembrava che il mondo dovesse mobilitarsi contro la violenza. E poi… poi, non è successo nulla, e quell’“Io non ho paura” gridato ai quattro venti è, infine, declinato in volgare baluardo di valori consumistici. È di un pezzo che nei miei live suono ormai da diversi anni, ed è tra i più amati dal mio pubblico, e questo per me è già un risultato di cui essere orgoglioso. Desidero, o più semplicemente spero, che la canzone arrivi alla testa delle persone. Non al cuore. Alla testa. Perché le emozioni sono furbe. Le idee, invece, possono essere forti.

  • Come mai hai scelto di chiamarti così?

È una domanda che mi fanno da vent’anni. Purtroppo, aggiungo io, nel senso che non la trovo una cosa così importante. A Dylan, o a Sting non hanno mai chiesto del perché del loro nom de plume. Ma io non sono Dylan, questo è vero. Porfirio Rubirosa era un playboy dominicano degli anni ’50, famoso per la sua eleganza e per come sapeva dare piacere alle donne, donandosi a loro completamente. Ecco, mi piacerebbe essere parimenti elegante e contribuire al godimento intellettuale di coloro che mi ascoltano.

  • Qual è stata la follia più pura che hai fatto durante un tuo concerto?

Nel 2019 ho finto la mia morte sul palco di un mio concerto a Marostica. Gli spettatori sono scappati impauriti ed è accorsa l’ambulanza, peraltro già presente in loco in quanto si trattava di un festival. Il personale Suem ha tentato di rianimarmi, finché non è arrivato Il Drugo Arcureo vestito da Gesù a dire loro che ci avrebbe pensato lui. Ne hanno parlato i giornali per alcuni giorni e in rete si trovano molti articoli sull’argomento. Volevo rompere i confini della performance artistica, ispirato in questo senso dal Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud. Era mia intenzione far vivere al pubblico un’esperienza vera ed inaspettata. Volevo che sapessero che con Porfirio Rubirosa può accadere di tutto. E che l’arte non è sempre rassicurante.

  • Sei mai stato definito la copia di qualcuno?

Non mi è mai accaduto, per fortuna. Credo che la mia cifra stilistica sia assolutamente mia, e di nessun altro. Ho tratto ispirazione da artisti che mi piacciono – Bob Dylan, Andy Kaufman, Carmelo Bene, Rino Gaetano, Johnson Righeira, Freak Antoni, Piero Ciampi – ma ritengo di non aver copiato nessuno.

  • Quanto contano veramente per te le tue canzoni?

Incidere un brano è sempre un’occasione. E le occasioni non vanno sprecate, perché non sono infinite. Contano tantissimo, perché sono un numero limitato, anche se non so dire quante saranno. Spero molte, o forse no. Non ho intenzione di finire a pubblicare canzoni che non siano mosse da un’autentica esigenza comunicativa, ma solo per un piacere edonistico o, peggio ancora, per volgari ragioni economiche.

 

  • Sai cos’è la Pareidolia? Mentre stai rispondendo a questa intervista, alza gli occhi al cielo (guarda fuori dalla finestra) e dimmi cosa vedi?

La pareidolia è quel fenomeno per il quale, osservando un’immagine o ascoltando un suono, ci sembra di vedere o sentire qualcosa che è a noi familiare, anche se così non è. Il termine l’ho scoperto da adolescente, quando mi sono interessato alla leggenda dei dischi che, suonati al contrario, permettevano di sentire fantomatici messaggi, spesso satanici. Beatles e Led Zeppelin, in particolare. Tutte balle. Tutta sospensione dell’incredulità, ma a volte è bello sognare. Fuori dalla finestra del mio studio vedo il retro grigio di palazzi cittadini. Mi piacerebbe tanto che, in un ossequio alla pareidolia, il mio cervello li associasse ad un parco di sequoie americano, e alla rassicurante imponenza di cui spesso la natura sa essere latrice. Invece, l’unica associazione che riesco a fare è quella con i ripostigli delle persone. Disordinati, pieni di cose che non si usano più e che ingombrano, ma che, ciò nonostante, chissà perché, non si buttano via. Forse perché abbiamo paura. Sono come il retro grigio delle nostre vite.

  • Se dovessi definire le tue canzoni come figli, potresti dire di avere un figlio prediletto?

Amo (quasi) tutti i miei figli. Ecco, in questo momento, più che al figlio prediletto il mio pensiero va al figlio che aveva grandi potenzialità, ma che è stato sfortunato. Divenendo un incompreso. Rimanendo solo. Si tratta della mia canzone ‘Un esteta al mare’ del 2012, che dà peraltro il titolo anche al mio omonimo terzo album. E che per me rappresenta un punto di svolta. Prima di quel pezzo, non credevo che le mie canzoni potessero dire qualcosa. Quel brano ha cambiato tutto.

  • Qual è stata l’esperienza musicale più figa che hai vissuto in tutta la tua carriera?

Ricordo con grande piacere ed affetto il mio minitour di concerti del 2018 in Polonia, tra Varsavia e Breslavia, assieme al Drugo Arcureo, Pastafarian Andyman e Krugerpritz, tre dei musicisti ed artisti ai quali sono più affezionato, e con i quali ho condiviso non soltanto l’esperienza di affrontare un pubblico straniero entusiasta e curioso, ma anche un’esperienza di amicizia che rimarrà per sempre. In quell’occasione non ho scoperto soltanto un Paese meraviglioso, ma anche persone straordinarie, i miei collaboratori prima di tutto.

  • Qual è stato il tuo rimpianto artistico più grande?

Purtroppo, nei miei primi anni di carriera artistica, quando dalla mia parte avevo anche l’età giusta e avrei potuto fare di più, intellettualmente e dal punto di vista artistico e pratico, ho dato troppo retta a chi era più interessato a prendere i cento euro del concerto sotto casa, piuttosto che andare, anche a costo zero, anche rimettendoci, a far conoscere la mia musica anche ad un pubblico più vasto. Sono stato costretto a rifiutare numerose proposte perché qualche musicista storceva il naso. Avrei dovuto, invece, imparare fin da subito ad essere autonomo, o comunque cercare qualcuno che fosse disposto a giocare con me al tavolo da gioco della vita. Con il tempo, tuttavia, ho trovato le persone giuste – Il Drugo Arcureo in primis – e infatti, la mia carriera artistica ha poi avuto una svolta positiva.

  • Nel cassetto dei tuoi sogni ci stanno tre duetti. Se potessi dargli un nome, a quale artista preferito li attribuiresti?

Il mio idolo, punto di riferimento e maestro è Bob Dylan. Lo amo, per la sua capacità di aver trasformato le canzoni in qualcosa di più importante. Di più alto. Quando è stato in Italia sono andato a sentirlo più volte. Già essere fisicamente vicino a lui mi emozionava. Si tratta, tuttavia, di un sogno impossibile da realizzare. Come è impossibile, purtroppo, realizzare quello di un duetto con Rino Gaetano, altro autore che stimo. Ecco, l’unico duetto che, almeno potenzialmente, sarebbe possibile è quello con Francesco Tricarico, di cui apprezzo tanto lo stile e l’universo poetico. Tricarico ha sempre percorso la propria personale strada artistica. Slegato dalle mode. Contro il consumismo musicale. Non avendo paura di rischiare.

  • “A tua immagine e somiglianza” dura ben 7 minuti e 50 secondi, sicuramente questo brano non passa inosservato, sento che ha un forte potenziale! Ti va di parlarci di questa canzone speciale?

‘A tua immagine e somiglianza’ è il racconto del pensiero filosofico e sociale dell’uomo, dalle origini ad oggi. Passando dalla religione dell’anima a quella del corpo. Ed è anche un viaggio sonoro, dalle atmosfere psichedeliche anni ’70, al pop anni ’80, al rap anni ’90. Un viaggio lungo, tortuoso, pieno di insidie e a tratti beffardo. Quel brano è un progetto ambizioso, realizzato con la mia band, e con Herman Medrano, un rapper molto noto in Veneto e con una capacità di scrittura e una lucidità intellettuale che a mio giudizio non ha eguali nel panorama italiano, e non mi riferisco soltanto all’hip hop. E anche con Dagon Lorai, artista visuale campano e intellettuale acuto e mai banale o scontato, che, nel videoclip, ha saputo raccontare con lucidità spietata il passaggio dal deserto naturale a quello interiore dell’uomo contemporaneo. Un altro genio. Un altro incompreso. Ma forse, dopotutto, che importa essere compresi da tutti? Bach è stato scoperto 200 anni dopo la sua morte.

  • Per quale buona ragione la gente dovrebbe ascoltare e acquistare la tua musica?

Dovrebbe ascoltarla e acquistarla perché è autentica. Perché il mio punto di riferimento è la musica. La musica e l’arte soltanto, e di sicuro non l’editoria. Perché il poeta, per essere tale, deve essere incompreso, come diceva Carmelo Bene. E io, musicalmente, sono solo. Solo e libero. Io e i miei collaboratori, i miei musicisti, il mio editore Giuliano Biasin, il mio distributore e ufficio stampa Carlo Mercadante, con il suo staff di Isola Tobia Label. Perché, dopotutto, il piacere ed il godimento di una scoperta artistica privata è sempre gratificante.

  • Chi è il tuo fan più fedele e sincero?

Non mi piace parlare di fan. Anzitutto perché non ho decine di migliaia di ascoltatori. E poi perché il concetto di fan implica un rapporto gerarchico tra artista e ascoltatore, che davvero non sopporto. I miei ascoltatori, quelli più fedeli diventano, molto più semplicemente, degli amici, con i quali, peraltro, mi sento spesso anche al di fuori dei concerti. Penso al gruppo di amici di Jesolo, al grande poeta dell’amore Alfonso Simioni, a Marco Mainardi di Azzanello che ama Giovanni Lindo Ferretti e Porfirio Rubirosa, o Roberto Menardo di Lodi, per inciso fantastico fotografo. Gente che, se necessario, macina centinaia di chilometri per venire a trovarmi. Penso anche a Marta Stella, la mia straordinaria violinista di Vicenza che spesso sale sul palco con me per pura passione, e il suo compagno, e fonico impagabile Daniele Vendramin. Lo fanno essenzialmente per vivere un momento di condivisione, perché, certo, c’è la musica. Ma prima di tutto ci sono le persone. Ma ce ne sono anche tanti altri, di amici fedeli, che proprio in quanto amici mi comprenderanno se su due piedi, e complice il poco spazio, non riesco a citarli in questa sede.

  • Eventi e progetti futuri ne abbiamo?

Il primo maggio inizia il mio tour estivo con Il Drugo Arcureo, il mio bassista e principale collaboratore. La persona che più di ogni altro mi è vicina artisticamente. Viaggeremo molto, arrivando praticamente in tutto il nord e centro Italia. Dopo l’estate voglio, invece, concludere l’incisione del mio nuovo album, che dovrebbe uscire l’anno prossimo. La produzione artistica è affidata a Fabio Merigo, artista e compositore magnifico, già, tra gli altri, con Giuliano Palma & The Bluebeaters, Tricarico, Tormento. Un genio e una persona che non si risparmia mai. Sarà, per la prima volta, un disco incentrato prevalentemente sulla musica, e nel quale i testi – che fino ad oggi rappresentavano la centralità dei miei album – fungeranno da utile puntello. Una sorta di opera pop-cantautorale. Peraltro con delle soluzioni realizzative piuttosto innovative ed insolite. Voglio che i miei ascoltatori scoprano non soltanto il Porfirio Rubirosa paroliere, ma anche il musicista, che forse fino ad oggi non è ancora emerso del tutto.

  • Manda un saluto speciale a tutti i lettori del MEI e dicci dove possiamo trovarti e ascoltarti.

Sono molto legato al MEI e a Giordano Sangiorgi che in tante occasioni ha supportato i miei progetti e a cui sono molto grato. Conseguentemente, gli amici del MEI non possono che essere anche mei amici. Che spero vorranno seguirmi attraverso il mio sito web porfiriorubirosa.it, i social e il mio canale youtube www.youtube.com/porfi60mdt

La ricetta contro il male dei Porfirio Rubirosa è presente in AIA Artists for Spotify Vol.1 https://open.spotify.com/playlist/7vZGn2HlYY9IEqi8y7bk7k?si=6ed76361245048ee
Per Mezzogiorno In Musica Indie ecco la nuova Rubrica PAREIDOLIA MUSICALE ideata dal cantautore palermitano Andrea Gioè. Gli ospiti di oggi sono i Porfirio Rubirosa. was last modified: maggio 26th, 2022 by Giordano SanGiorgi
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