Gli OverKind nascono nel Luglio del 2016 a Verona da un’idea del chitarrista Riccardo “Richie” Castelletti, dal bassista Filippo “JiN” Zamboni e dal cantante Andrea Zamboni. Successivamente si unisce alla band il batterista Nicolò “Tino” Fracca. Obiettivo del progetto, è quello di portare avanti un concetto ed una visione totalmente privi di vincoli e limitazioni dettate dalla definizione di un linguaggio musicale statico. Niente etichette, solo musica. “Acheron”, uscito nel febbraio del 2019, è l’opera prima della band. L’album è liberamente tratto dal racconto più famoso al mondo: la “Divina Commedia” di Dante. Si tratta di un concept sui contenuti riproposti al presente, esaltandone l’attualità immortale.
“Acheron” viene presentato il 15 Marzo 2019 e viene poi portato in sede live su vari palchi italiani ed esteri ottenendo un ottimo riscontro da parte di critica e pubblico. Nel novembre del 2019, al termine di un breve tour in est Europa che ha toccato vari paesi (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), la band firma una collaborazione con il produttore Pietro Foresti e si mette già al lavoro per la realizzazione del secondo album in studio.
Ciao ragazzi, come nasce “186 STEPS”
Riccardo Castelletti L’idea nasce durante la nostra visita del campo di concentramento di Mauthausen. Un’esperienza forte che ha scosso le nostre coscienze. La storia poi si ispira a quegli anni bui. Andrea (il cantante ndr) ha personificato il racconto di ciò che successe realmente nella cava di granito adiacente al campo di sterminio nazista.
L’album ha un filo conduttore? Se sì, quale.
R.C. Certamente. Lo si può definire un concept album sulla filosofia taoista Yin&Yang che divide idealmente tutto il mondo in due parti opposte e complementari al contempo.
Nell’album troviamo quindi una sorta di “botta e risposta”. La ragione si scontra con l’impulso, la luce con l’oscurità, l’amore con l’odio, la risalita e la caduta. L’ultimo brano “From beginning to end” racchiude invece entrambi gli opposti perché parla della vita che ritrova proprio nel suo opposto, la morte, la ragione stessa di esistere.
Andrea Zamboni: penso che “Yin e Yang” sia uno specchio della stessa medaglia, di due facce, due umori contrastanti, due visioni di noi stessi, due modi opposti di approcciarsi nella vita. Perché in fondo tutti noi abbiamo conosciuto, con esiti negativi e positivi, questi nostri due colori tanto diversi che però entrano nello stesso modo dentro il nostro essere, nel nostro io. Abbiamo saputo amalgamarli, decidere quando utilizzarne uno e quando l’altro a seconda delle situazioni.
Tutto ciò dimostra che l’essere umano non può credere di avere solo una versione del proprio io.
In generale come create le vostre canzoni? Vi ritrovate spesso per fare le “prove”?
R.C. Solitamente abbiamo ben chiaro di cosa parlerà la canzone. Quindi partiamo a scrivere nero su bianco la base strumentale avendo già in testa, a grandi linee, come dovrà suonare il brano completo di tutti gli strumenti. Quando lo scheletro del brano è pronto si comincia a definire la linea vocale e nel frattempo si apportano tutte le migliorie dei singoli strumenti e della struttura scremando le parti per arrivare dritti al punto senza perdersi in lungaggini inutili. Il nostro obiettivo è scrivere belle canzoni non far vedere agli altri quanto ce l’abbiamo lungo.
Anche perché, diciamolo, faremmo brutta figura!
Comunque solo successivamente sentiamo come rende il tutto in sala prove per accorgerci di eventuali ulteriori modifiche. Solitamente però con questo metodo si va dritti al punto e non si perde troppo tempo. La sala prove ci serve per affinare l’omogeneità delle sezioni ritmiche e armoniche e aggiungere il groove necessario per coinvolgere il pubblico che verrà a vedere un nostro live-show.
Quanto conta il live per voi?
R.C. Il live è tutto. E’ la nostra linfa vitale. E’ tutto ciò per cui facciamo musica. Senza i concerti la musica è solo un prodotto sterile.
Ti dirò di più: noi siamo degli eroi perché a differenza della gran parte dei cosiddetti appassionati di musica odierni noi, ai concerti underground, ci andiamo e supportiamo gli artisti che meritano. Lo facciamo per passione, non guardiamo solo il nostro orticello.
Qual è stata l’esperienza musicale più importante?
R.C. Sicuramente il mini tour che abbiamo fatto in est Europa dopo l’uscita del nostro primo album “Acheron” è stato il nostro percorso più significativo. Non tanto per l’importanza dei locali o degli eventi quanto come percorso di vita.
Un’esperienza che ci ha unito ancora di più tra musica, occhiaie, incidenti stradali e disavventure.
Perché no. La vita da rockstar non è così facile come dicono!
https://www.facebook.com/
https://www.instagram.com/
https://www.youtube.com/