Quel gusto indie che però tanto deve agli spigoli analogici delle distorsioni pop anni ’90. Un quadro assai generico che però tanto si fa bandiera di un genere che dagli Afterhours ai tanti che ne fanno da corona, fin dentro le viscere più automatiche del pop main dalle forme main stream. Ugo Cappadonia, che tanto abbiamo conosciuto nella sua carriera, dalle nomination al Tenco agli Stella Maris con Umberto Maria Giardini, torna oggi con un nuovo disco di inediti dal titolo “Canzoni per adulti” disponibile anche in una bella release in vinile. Tornano alla mente tantissime radici per noi adolescenti affamati di musica degli anni ’90, di quel finire di un’era e l’inizio di un ponte allegorico verso il futuro ancora inevaso.
Il nuovo disco di Cappadonia, un lavoro che si rivolge ad un pubblico adulto. Dici che secondo te questo tempo ne ha bisogno. Che intendi?
Secondo si è dato abbastanza in termini di leggerezza, crossover tra indie e comicità, il “non prendersi troppo sul serio”. Tutto qui, non so se il mio disco si rivolge solo a un pubblico adulto, è possibile, ma quando ero più piccolo se mi veniva detto che una cosa era “Per Adulti” mi fiondavo a vedere di cosa si trattava e la mia curiosità inevitabilmente aumentava.
Da più parti, in contrapposizione, molti artisti inneggiano alla leggerezza come arma di difesa. Tu cosa ne pensi?
Io come ho già detto e ripeto, credo a furia di leggerezza ci siamo ritrovati coi fascisti in piazza ogni sabato per quasi un anno.
Il suono di questo disco è molto legato al passato, a quel rock italiano anni ’90 e 2000. Vero? Che rapporto hai con questo periodo storico della musica?
È l’epoca che ho vissuto da teenager e all’università quindi è inevitabile che il mio suono in qualche modo appartenga a quel tipo di universo, ma non è una cosa che cerco volontariamente. Credo che in quella fase storica della musica a livello mondiale uscissero degli album incredibili e degli artisti che hanno cambiato le vite di tante persone. Nel 97 alla radio ascoltavi gli Oasis, gli Smashing Pumpkins, i Verve e via dicendo, insomma era impossibile non imbattersi in una chitarra per un ragazzo dell’epoca. Sembra di parlare di era geologiche fa, ma credo che arriverà una nuova ondata.
E dal futuro cosa prendi?
Ci sono ragazzi che scrivono benissimo e che hanno davvero qualcosa da dire. Secondo me la nuovissima generazione sfornerà grandi cose.
Tra i protagonisti del suono troviamo Nicola Manzan che nel brano “Il ruolo” cerca un posto molto poco “trasgressivo” come in fondo ci ha sempre abituati. O almeno come spesso ci viene da pensare associando il suo nome alla ricerca musicale. Che tipo di collaborazione è stata, cosa cercavi e cosa hai incontrato?
Nicola ha suonato un pezzo in ogni mio album finora pubblicato (“Lontano” in Orecchie da Elefante, “Io No” in Corpo Minore), e ha sempre fatto un ottimo lavoro. Ha un talento straordinario e capisce al volo cosa gli stai chiedendo. In questo caso il brano sia per la tematiche che per il suono, richiedeva qualcosa di asciutto e cinematografico al tempo stesso, e la cosa interessante è che qui i suoi violini sostituiscono anche una parte che sarebbe potuta essere un solo di chitarra o pianistico. In queste battute in cui la voce lascia spazio al violino l’ho lasciato libero di fare ciò che voleva e per me il suo intervento ha reso magico il brano.
La vita, la malattia, la solitudine, le distanze e tantissimo altro. C’è tantissima analisi dentro. Un disco autobiografico in qualche misura? Oppure un disco che potrebbe appartenere a tutti noi?
È sicuramente un disco autobiografico, ma ho cercato di rendere i brani emotivamente corali. Per questo diversi ritornelli sono cantati in coro a più voci. Mi piacerebbe venissero considerati brani che ci spingono a essere più uniti.