È simpatico, il gioco di parole che trasforma Cip! (album del 2020 di Brunori Sas) in Cheap! e che ci rivela immediatamente la sua natura di appendice semplice e giocosa a un progetto di più ampio respiro. Il titolo scelto da Brunori Sas per il suo EP uscito l’11 Gennaio 2022 scorso, però, contiene un’ulteriore sfumatura. È infatti l’acronimo di Cinque Hit Estemporanee Apparentemente Punk. Ricordate cos’è il punk? È il grido di rabbia di una generazione stanca di una società oppressiva che insiste nell’inscatolare i propri componenti in ruoli prefabbricati e dei linguaggi di protesta pacifici e inconcludenti degli anni ‘60. Un grido che passa per voci scalcagnate, chitarre distorte accordate a orecchio (da orecchi particolarmente su di giri ma comunque orecchi) e inni all’anarchia. Dove possiamo quindi trovare tutto questo nell’ultimo rilascio del cantautore cosentino?
Senz’altro non sta negli arrangiamenti molto semplici o nella loro poco invadente produzione. Si percepisce immediatamente quell’approccio da “buona la prima” cui mira dichiaratamente lo stesso autore. La strumentazione viene limitata al minimo indispensabile e i suoni, scelti in base al genere che ogni pezzo riproduce, non creano un insieme omogeneo e secondo questo criterio verrebbe da considerare Cheap! quasi più come una raccolta piuttosto che come un lavoro di senso compiuto. L’estemporaneità della sua scrittura, abbondantemente chiara nella musica, è anche ben evidente nelle liriche dei 5 brani che ci vengono presentati. È proprio in questi testi, quindi, che dobbiamo andare a ricercare non solo il filo che li lega l’un l’altro ma anche questo coefficiente di punk apparente. Ogni pezzo ha il suo messaggio, presentato abilmente con leggerezza e ironia. La costante polemica delle parole di Brunori Sas evidenzia le storture di un approccio corrotto alla vita che la priva di gioia e delicatezza. Il punk che avrebbe reagito con astio e sfogo della propria ferocia si lascia invece andare a una lucida malinconia e quindi scompare per proporre qualcosa di diverso.
La traccia di apertura, con la sua chitarra slide zuppa di riverbero, invita, attraverso una citazione da Berlinguer Ti Voglio Bene di Giuseppe Bertolucci, a un dibattito popolare sulla disparità di genere incentrato però sulle velleità dei social network e sull’arroganza dell’italiano medio nei confronti di questi argomenti. La progressione armonica porta alla mente le influenze britanniche e americane da sempre presenti nel cantautorato italiano e le rende manifeste nella menzione dei Beatles e Yoko Ono (titolo della traccia che non è assolutamente esemplificativo del suo contenuto come invece succede per le altre tracce).
Il secondo pezzo si inscrive in un ambiente che ci riporta dalle parti dei Gufi e degli irriverenti testi di Jannacci. Ode al Cantautore è una (anche) autoironica tirata di appena più di tre minuti sulla situazione del panorama musicale moderno (italiano e non) sul quale si è abbattuta, implacabile, l’era della riproducibilità tecnica. Prodotta con suoni volutamente anacronistici che rimandano alla vecchia canzone popolare e priva di progressioni armoniche sofisticate, questo pezzo è un allegro stornello che può facilmente far ridere amaramente una lunga fila di musicisti. A questa traccia segue poi Il Giallo Addosso, che, con una strizzatina d’occhio anche al soul di Otis Redding, sposta l’attenzione sulle ipocrisie di un capitalismo che deturpa le vite di chi sfrutta e banalizza il futuro di quelle altre vite che sembra invece privilegiare. Con leggerezza, infatti, Brunori Sas manda un discreto numero di accidenti in giro per il mondo, lasciandoci con la speranza che abbia almeno scelto un corriere con dei prezzi convenienti. Il titolo serve fondamentalmente come una sorta di rimando alla Cina che, nell’economia del brano, serve come capro espiatorio contro cui scagliarsi prima di attaccare tutto ciò che le è simile e opposto, il resto del mondo in pratica. Brunori Sas agita il pugno per aria e sputa fuori tutto ciò che lo tormenta, senza però arrivare, come spesso succede, ad alcuna conclusione. Gli auguri più speciali, in ogni caso, li conserva per il brano successivo, Italiano-Latino, una buffa cantata solo chitarra e voce in uno spagnolo solo scimmiottato che si scontra con la nostalgia spesso tinta di neofascismo dell’italiano medio. Sarcastica e simpatica (Nun Te Reggaeton rinnova, strappando un sorriso, il ricordo di Rino Gaetano) questa canzone non supera però il livello di una trovata, un riempitivo non particolarmente necessario in un lavoro di appena quindici minuti e quindi privo di pretese di durata. Brunori stesso la introduce come una canzone di protesta “all’acqua di rose” e mantiene la promessa.
La quinta e ultima canzone dell’EP, Figli Della Borghesia, invece, si rivolge a una nostalgia di stampo opposto, tipica di quelle generazioni che devono controvoglia affrontare il proprio forzoso allontanamento dalla gioventù, in questo caso si parla dei figli degli anni ’80 (ma i nati nei ’90 hanno poco da ridere perché ormai tocca anche a loro) descritti attraverso quelle piccole e grandi cose che hanno caratterizzato il decennio, un catalogo minuzioso e forse lungo oltre il necessario. La morale conclusiva, poi, che vede questi giovani che furono come anime alla deriva incapaci di capire cosa farsene della propria libertà è senz’altro una chiusa a effetto ma tutto sommato priva di originalità.
Arrivati quindi in fondo all’ascolto bisogna dire che il punk è tutt’altro che apparente a livello musicale e sembra piuttosto non essere pervenuto. Si può tuttavia recuperare la sua atmosfera considerando il fatto che l’estetica tutta inglese e americana del punk corrisponde a un passato che per il pubblico italiano consiste nel cantautorato, nella canzone popolare e in un sentimento atrocemente pervasivo di malinconia che si oppone alla rabbia del movimento prevalentemente britannico. Tra film, cantautori e cronaca, quindi, Brunori Sas ci racconta in poco più di qui