Sarà disponibile dal 21 Aprile anche pubblicato in una preziosa release in vinile il nuovo disco di Franco Naddei, anche conosciuto come Francobeat, e la sua compagna Sabrina Rocchi che avrà come titolo “Ripensandoci”. In due per un omaggio davvero interessante a Jula De Palma. Progetto dunque di cover che vanno ben oltre il banale rifacimento di canzoni: la ricerca del suono che sposa si l’avanguardia ma anche la radice e la citazione del tempo e del periodo storico. E poi la produzione curata da Naddei stesso e da L’Amor Mio Non Muore di Forlì che significa dunque un suono e una costruzione totalmente analogica. A oggi possiamo raggiungere dalla rete i primi due singoli “Se qualche volta” (brano scritto per la De Palma da Franco Califano) e “Per due parole” (canzone che fa parte della colonna sonora composta da Mario Nascimbene per il film “Summit” uscito nel 1968 ed interpretato da Gian Maria Volontè e Mireille Darc). Una commistione gustosa e affascinante, tra suoni, storia, nuove chiavi di lettura… e appunto, ripensamenti.
Interessante ritorno all’analogico, un ritorno che in qualche modo in Italia significa sempre l’Amor mio non muore di Forlì. Tra voi da tempo esiste una congiunzione artistica vero?
Io e Roberto ci conosciamo da molti anni e tante volte abbiamo collaborato sia come musicisti che dai rispettivi studi di registrazione. Da ormai 3 anni Roberto mi ha accolto nello studio da lui creato insieme ad Alberto Bazzoli e abbiamo unito le forze e le risorse.
Per motivi non dipendenti dalla mia volontà ho dovuto cambiare il luogo dove ho vissuto e lavorato per molti anni (Cosabeat studio) e devo dire che a distanza di tempo sono felice di essermi messo in discussione come se fosse una nuova partenza.
Da tempo parlavamo di collaborare più assiduamente e alla fine è accaduto, anche se prima del previsto. Ad ogni modo, alla grande generosità di Roberto ho corrisposto buttandomi a capofitto nel progetto di Amor mio non muore dato che è assolutamente nelle mie corde su tutti i fronti, da quello tecnico a quello qualitativo, e ormai sento un forte senso di appartenenza.
In questi anni abbiamo migliorato lo studio e ci siamo messi a lavorare a testa bassa per non buttare via le nostre esperienze e capacità, soprattutto dopo lo stop forzato per i motivi che sappiamo.
Abbiamo rilanciato e continuiamo a farlo (è appena arrivato un bel 24 piste Studer che non vediamo l’ora di usare!) con impegno e passione.
Poi pensavo fosse giusto affidare la rifinitura finale del disco a una persona dalla sensibilità come quella di Roberto che poteva apprezzare e valorizzare tutto il lavoro di arrangiamenti e scelte sonore fatte da me e da cui potevo uscirne poco lucido in fase di mix.
Poco dopo ho ricambiato il “favore” mixando, e buttando qualche sintetizzatore qua e là, nel suo prossimo lavoro come VILLA di cui certamente sentirete parlare.
Insomma, abbiamo molti progetti per il futuro, nonostante il momento non sia del tutto incoraggiante, ma finché funziona il nostro microfono a nastro RCA non molleremo mai, come dice sempre Roberto.
Registrare in analogico, questi brani soprattutto… è stato determinante? Oppure è stata soltanto una scelta artistica?
Il lavoro di composizione e registrazione è stato molto lungo, sia per le distanze e le disponibilità dei molti musicisti coinvolti, sia per il buco del 2020 che ci ha un po’ frenati. Avendo lavorato per comodità e necessità su sessioni digitali, il passaggio su nastro era doveroso per far tornare il suono al posto giusto, una vibrazione meccanica di polvere di nastro ed elettricità su banco analogico.
Tutto era già stato pensato perché finisse lì ed io stesso, che era molto tempo che non lavoravo su nastro, ho potuto assistere alla “rinascita” di quei suoni che avevo martoriato coi plugins per cercare di capire se i miei arrangiamenti potessero funzionare immaginando il risultato finale che poi è stato ben al di là delle aspettative.
All’epoca avevamo un 24 piste a nastro Telefunken sul quale abbiamo riversato le tracce che avevamo in digitale e questo fa certamente la differenza e non solo in termini tecnici.
La modalità digitale ci da la possibilità di tornare indietro, di rifinire, di sbagliare e correggere all’infinito e non è quello che vogliamo dalle nostre produzioni. Tutto deve essere vissuto col massimo rispetto e preparazione, sia suonando il più possibile insieme sia nel vivere il mix come quel momento magico che sai non può ripetersi mai uguale, con quella cura che ti viene solo se sai che indietro non si torna.
Quando lavori in analogico devi prenderti il tempo necessario per le scelte e assumersi il rischio degli errori che a volte possono anche dare un valore aggiunto al sound.
Io e Roberto abbiamo modi di intendere la registrazione molto simili, io magari il computer lo uso ma nessuno mi toglierà il gusto di mixare in analogico e all’Amormio siamo molto ferrati in materia!
Il disco in arrivo. Tutto dedicato a Julia De Palma. A questo punto sarà in vinile?ì
Certamente, come di consueto per L’amor mio non muore dischi!
Il long playing (che bella formula un po’ vintage, ma ancora usabile) uscirà ufficialmente il 21 aprile prossimo che è anche il giorno del compleanno di Jula, è il nostro piccolo regalo a questa donna e artista straordinaria.
Pensate d’aver restituito il vero sapore del passato, di quel passato… oppure avete cercato di esplorare altre direzioni?
Innanzitutto il nostro intento è stato quello di osservare, ascoltare e imparare da quel passato. Tante volte ci capita di pensare che il “vecchio” sia sempre meglio del nuovo solo perché vecchio, ma non è così. Trovo che sia necessario sapere più cose possibili per poter poi rimasticare e rileggere in altra chiave una canzone e, in generale, se vuoi scrivere di tuo pugno qualcosa che sia personale e in qualche modo “nuovo”.
Le canzoni di quegli anni erano scritte bene, suonate ancora meglio, cantate divinamente ed erano per tutti. Era pop anche se era anche jazz, o swing o blues, ed era mainstream. Quelle canzoni poi sono nate e cresciute nel mondo che avevano intorno a partire dall’immediato dopoguerra, dagli anni del boom economico fino a lambire la psichedelia degli anni ’70. Inevitabilmente quel mondo che girava intorno ha condizionato chi ha scritto e interpretato quelle canzoni.
Tenendo ferma la scrittura originale mi sono limitato a trasportare il repertorio di Jula de Palma nei suoni e nel mondo che abbiamo intorno oggi mettendoci in mezzo i riferimenti e gli umori di questa epoca che mi gira intorno.
Ed è così che imbocchi una strada senza sapere esattamente dove ti porterà ed è la parte più divertente del gioco. Non avrei mai potuto replicare il sound di una big band o restituire appieno il respiro marcatamente jazz di alcuni brani del disco, quindi mi sono inventato una band che potesse giocare con me. Inutile dire che il prezioso contributo di ottimi musicisti, oltre che amici, abbia fatto fiorire quelle idee che avevo scritto solo su carta.
Questo percorso di studio e condivisione è di per sé un forte atto di esplorazione necessario per chi vive di musica come me.
La scelta di Sabrina Rocchi? Un incontro di vita che comunque si celebra anche dentro questo lavoro. Come nasce l’idea del disco?
Sabrina ha sempre cantato, poi qualcosa nel suo percorso musicale si è inceppato e si è dedicata ad altro. Quando le proposi di duettare con me in “Mostri” nel brano di Ciampi “Più di così no” era un po’ riluttante ma poi la convinsi e il risultato fu che tutti notarono quel piccolo cameo che mi feci regalare. Quel piccolo seme germogliò e qualche tempo dopo Sabrina mi chiese di fare qualcosa con lei e mi propose di affrontare un repertorio un po’ anni ’60.
Immaginandomi qualcosa di non scontato intorno a quell’epoca d’oro mi è subito venuta in mente Jula de Palma, forse proprio perché non era esattamente la più famosa di quell’epoca anche se di grandissimo successo e con caratteristiche uniche, molto avanti per l’epoca.
Così cominciammo ad ascoltare alcune sue interpretazioni e soprattutto leggere la sua storia.
Molti la ricordano per il suo brano “Tua”, brano con il quale venne censurata a Sanremo per il suo modo troppo appassionato di cantare, come se fosse un male, ma era il ’58 e in Italia lo sport della censura era piuttosto praticato. Ma nonostante questo la sua carriera continuò brillantemente e Jula continuò a perseguire la sua idea di bellezza fino a raggiungere l’apice del suo successo e, come da lei sempre sostenuto, abbandonare le scene senza clamori prima dell’inizio della “fase calante” per dedicarsi alla famiglia trasferendosi in Canada con marito (Carlo Lanzi, autore e direttore d’orchestra) e figlia.
Ci siamo appassionati alla sua storia, ai suoi modi, alle sue scelte, al suo repertorio, a quel mondo artisticamente così autorevole ma senza divismi. Le abbiamo scritto tra l’altro per informarla sin dall’inizio ed è nato un rapporto epistolare meraviglioso, ha apprezzato molto il lavoro, con nostra grande gioia e commozione.
In tutto questo devo ringraziare Gino Corcelli che mi fece il suo nome quando lavoravamo in una nota radio di Riccione e nelle pause pranzo mi raccontava di quel mondo che anche lui aveva vissuto in qualità di cantante crooner ante-litteram nella scuderia di Gorni Kramer, di cui anche Jula ha fatto parte nelle sue mille collaborazioni.
Qual è stato, se c’è stato, il grande ostacolo per raggiungere un risultato importante nell’omaggiare una così grande artista?
Diciamo che abbiamo aggirato l’ostacolo preventivamente! Non ci siamo messi a scimmiottare quel mondo sonoro e il modo di cantare di Jula ma da subito abbiamo cercato di fare scelte mirate in modo che il nostro mondo potesse arricchirsi senza lo stress del paragone e anzi divertendosi a smontare e rimontare tutto, sia la musica che la storia dietro Jula stessa.
Abbiamo giocato sui punti di contatto facendoci però trasportare altrove. Sabrina ha lavorato molto sulla sua voce e io mi sono messo a studiare dei brani di mondi a me distanti.
Il risultato finale è qualcosa che ci appartiene e che ci rimane dentro come esperienza. Per finire il lavoro ci abbiamo messo quasi 3 anni complice anche il momento destabilizzante della paralisi musicale di questo ultimo assurdo periodo che forse è stato il vero unico grande ostacolo.
Nel momento in cui non sai che valore di mercato hanno i tuoi dischi, volevamo che avesse un grande valore per noi. Ci abbiamo messo dentro tutto; la passione, la vita di coppia, le incertezze, i ripensamenti, le gioie, l’impegno, la ricerca, l’amore.
E questo oggi costa molta fatica, una fatica necessaria per vivere bene la musica.