La storia di questo disco ci traghetta inevitabilmente al suono e al pensiero degli anni ’90, della provincia, delle notti nei garage e nelle sale prova… ci traghetta dentro uno stare assieme mosso prima dai sogni e poi dalle ingenuità. E tutto questo liberava – e lo ha fatto con loro anche oggi – un istinto creativo che difficilmente ha debiti da pagare. Sono i Balto, sono neo ex-studenti universitari o comunque sono i nuovi giovani dell’immediato futuro. Sono amici di vita che nel tempo della pandemia hanno resistito e hanno dato vita a scritture che il loro stare assieme di quegli anni ha ispirato. “Forse è giusto così” sembra una bandiera situazionista, un canto di emancipazione, sembra la vita di sempre raccontata dagli anni ’90. Sembra quel suono ruvido dell’underground però educato e ben definito dalle abitudini dei tempi moderni. Niente di nuovo sotto al sole direbbe qualcuno: noi sottolineiamo invece quanto paga in personalità la scrittura che non risponde ad altro se non al bisogno di esserci.
Partiamo dal nostro contest, partiamo dai nostri live in streaming… e dal MEI che inizia in qualche modo l’avventura dei BALTO. Poi il lockdown… questo disco oggi che storia racconta?
Racconta i nostri anni fra Bologna e la Romagna, le nostre paure e il desiderio di reagire, di rimanere a galla in qualche modo. Ogni momento che abbiamo vissuto prima del lockdown è racchiuso qui dentro, il lockdown ha solamente prolungato l’incubazione ma quello che avevamo da dire è qui.
E in fondo, visto il periodo di crisi anche e soprattutto per la musica, che responsabilità e che attese racchiudete attorno a questo progetto?
Prima di tutto l’abbiamo fatto per noi; la scrittura di questo disco è nata da una nostra esigenza individuale e collettiva come band di stare bene, di trovare una strada. Farlo insieme è stato bello ed oggi, che è diventato di tutti quelli che vogliono farlo proprio, abbiamo ancora più voglia e necessità di andare avanti.
“Forse è giusto così” sembra quasi un manifesto di emancipazione. Finito l’Università, quella voglia di spaccare il mondo, l’esperienza di un disco e di un sogno. Messo piede davvero in questo mondo, cosa avete trovato?
Abbiamo imparato tantissimo, sia da un punto di vista personale che “professionale”. Abbiamo trovato delle persone che lavorano con noi e con le quali ci troviamo a condividere ogni giorno un pezzo di strada. La musica e i suoi retroscena sono incredibili. Spesso pensiamo a quanto lavoro e quanti momenti stanno dietro a quei 3 minuti e mezzo di canzone su Spotify e semplicemente oggi siamo felici di averlo fatto. CI auguriamo di trovare tanti concerti, incontrare le persone sotto palco, prenderci una sbronza insieme e parlare del futuro fino all’alba. Poi magari scriveremo un altro disco, o forse no. In questo album ci sono tantissime domande, ci piacerebbe iniziare a trovare delle risposte.
Fusaroli, quel certo modo di pensare ai suoni, il vostro modo di sognare il suono e la forma canzone. Quanta crescita avete ottenuto e quanti compromessi invece?
Manu è stata la giusta persona al momento giusto. Il nostro primo disco parla di noi, ci rappresenta totalmente e siamo di natura persone un po’ complicate. Quindi ci abbiamo messo anche un sacco di tempo a trovare la forma che più si sposasse con le nostre personalità e con il nostro bisogno di fare musica; Manu sa benissimo riconoscere i limiti e le inclinazioni di una band, e ci ha aiutato a dare una forma omogenea a questo disco. Nessun compromesso, abbiamo lavorato soprattutto su noi stessi per metterci in discussione e cercare di essere tutti e 4 soddisfatti il più possibile. È stato molto costruttivo, a tratti snervante, ma molto molto forte.
Si torna live ragazzi?
Sì, finalmente qualcosa si sta smuovendo e noi abbiamo seriamente bisogno di tornare a suonare. Ci vediamo presto!