Sono un animale sociale divenuto in parte “social’, e oltre alla socialità della presenza, pratico anche quella a distanza, che passa per il web.
Domenica sui miei social network, ispirandomi a Greta Thunberg, ho postato una mia foto in cui tengo in mano un cartello con su scritta una domanda volutamente provocatoria.
L’ho fatto per istinto, mossa da necessità, per scuotere gli animi, i cervelli, e raccogliere sentimenti, opinioni, visioni, analisi, più o meno a caldo, più o meno a freddo, su una questione che mi interessa parecchio e da parecchio tempo.
(Naturalmente prevedevo qualche insulto, puntualmente arrivato, e pazienza, purtroppo oggi è costumanza di molti).
Ebbene, la domanda scritta sul cartello da me esposto era: “Il pubblico Mainstream in Italia odia le donne?”
Nel post dedicato, per dare una chiave di lettura a questa domanda parziale e non rappresentativa di tutta quanta la matassa, ho aggiunto:
“A leggere la classifica FIMI degli album più venduti del 2021, nelle prime 10 posizioni c’è solo una donna, al 5^ posto.
A quanto pare i fruitori italiani di musica mainstream amano moltissimo le donne e la loro musica.
Oppure devono amarle coloro che creano le grandi playlist o chi può condizionare/influenzare gli ascolti.
Ovviamente sono ironica, ma solo l’ironia può salvarci da questo
triste dato.
Senza tirare in ballo il femminismo e il patriarcato, dico: c’è un grande problema. Almeno rendiamocene conto.
Facciamoci una domanda.
La mia è una riflessione personale aperta, ma anche un invito a prendere coscienza di un problema culturale importante.”
Ora, voi ve le immaginate le risposte e le considerazioni a questa mia leggera (ma non leggerissima) provocazione che io ho sentito e sento giusta?
C’è chi ha dichiarato, invitandomi a non prendermela, che se le donne fanno musica di m****, allora non possono permettersi di lagnarsi e protestare con arroganza, magari nascondendosi dietro il “pretesto” della parità di genere.
Fortunatamente si è trattato di una minoranza, minoranza che tuttavia, visti i toni e i modi linguistici, lascia presagire una sorta di misoginia inconsapevole.
Fortunatamente, molti altri hanno esposto analisi approfondite e appassionate di tutt’altra fattura, con garbo e sensibilità, chi dando la colpa/responsabilità ai discografici e alle loro scelte, chi all’omologazione della società e quindi della musica che ne è il prodotto.
Qualcuno ha dichiarato senza ombra di dubbio che le posizioni in classifica si comprano e si manipolano con denaro sonante, quindi “sale e vince chi più paga”.
(Stando a questo le classifiche sarebbero taroccate).
C’è stato chi ha fatto distinzione tra il mainstream, luogo per eccellenza del non-talento e della non-musica, e il sottobosco della canzone (luogo abitato da musica più complessa, meno banale, spesso al femminile, ma naturalmente anche al maschile).
C’è chi dice che sono responsabili le ragazzine, che amano ascoltare e riascoltare fino allo sfinimento la musica trap del sesso opposto…
Chi ha parlato di invidia e misoginia tra donne.
C’è stato poi chi si è rifiutato di osservare il dato numerico dalla prospettiva della parità di genere, e chi invece ha parlato benevolmente delle quote rosa applicate nel suo paese per ciò che concerne la musica, è stato un argentino, contro cui poi si è scontrato un connazionale non d’accordo.
Quindi, vedete, non solo in Italia il dibattito è acceso.
C’è poi chi si è scagliato con orrore contro una qualsivoglia simil-idea delle quote rosa, considerandole un meccanismo non meritocratico.
C’è chi poi non ha fatto mistero del suo disprezzo nei confronti della musica apparentemente di tendenza oggi, la trap, con i suoi testi spesso sessisti, violenti, maschilisti e misogini.
La questione, come vedete, è complessa, infiamma gli animi, ma interessa parecchio… e questa è cosa buona.
Tra scontri, incontri, interessanti critiche, pur soffrendo del fatto che alcuni minimizzino il problema (a mio avviso di matrice storico-culturale), non vedendolo affatto o non volendolo vedere; sono tuttavia entusiasta della fecondità del dibattito e della varietà dei commenti. (Dateci un occhio se vi va, il post è lì, sulla mia pagina FB/Instagram.)
Certo è che c’è un malessere diffuso rispetto al dato, e non solo da parte di donne musiciste, anche molti uomini hanno mostrato disagio di fronte a questa realtà discriminatoria (magari inconsapevole? magari casuale?)
Lavorando insieme su questo desiderio-volontà di cambiamento, forse qualcosa potrebbe cambiare, ed è un tema di tutti: donne e uomini, addetti ai lavori e fruitori finali.
Che dite, facciamo qualcosa?
Ne prendiamo almeno coscienza?
Io proporrei intanto che i canali mainstream, radio e tv, comincino a dare spazio anche a un po’ di “sommerso”, e aprano le porte al mondo indipendente, di donne e uomini…
(Del resto dovrò pure cominciare in qualche modo ad onorare la carica di presidente dell’AiA – Associazione Italiana Artisti e Autori, che mi è stata assegnato pochi giorni fa…
Ne approfitto per ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno pensato potessi essere la persona giusta, per la preziosa e incoraggiante fiducia).
Bene, io il sasso l’ho lanciato e non tirerò indietro la mano. Ora, chi volesse rilanciare, magari con un cartello… faccia pure, facciamo girare il messaggio: ”qualcosa nel mainstream non va”. #QlcsNelMainstreamNoNVa
Quantomeno, faremmo tutti bene a prenderne coscienza. Buon Anno! Buone Battaglie!
A martedì,
vostra,
Roberta Giallo.
Laureata in Scienze Filosofiche, Roberta Giallo è cantautrice, scrittrice, performer teatrale, pittrice etc. Si definisce un “ufo” o “un’aliena perennemente in viaggio”. Ha già scritto di musica per Vinile e All music Italia, “Web Love Story” è il suo romanzo d’esordio. Musica in Giallo è la sua prima rubrica musicale per MeiWeb.