Disponibile in digital download e in streaming Nautilus, il nuovo disco di Marco Sirtori, artista e cantante milanese, nel quale reinterpreta grandi successi internazionali da Fred Buscaglione ai Depeche Mode. Nel lavoro, composto da undici tracce, Marco Sirtori rilegge in chiave personale miscelando jazz e pop quei brani che, a modo loro, rappresentano un viaggio subacqueo nella cultura musicale e letteraria, come un attraversamento del mondo dei suoni che tocca regioni distanti del globo terracqueo e converte il linguaggio in tanti linguaggi diversi. Andiamo ad analizzare il disco traccia dopo traccia grazie anche alle parole dello stesso artista. Ad aprire l’album The Same Love That Made Me Laugh, brano del 1974 incluso nell’album Justments. Sia il sound, sia il testo esprimono la delusione di un sentimento tradito, una rivendicazione d’amore che sfocia in una rabbia a stento trattenuta. Con questo brano Marco gioca con le tonalità profonde della sua voce e valorizzare il suo naturale graffiato. Nell’album segue Babalu, il brano più “antico” e forse quello drammaticamente più attuale. Canzone composta da Margarita Leucona, Ernestina ed Ernesto Leocuna nel 1939, è una sorta di ironica invocazione a Babalù Ayé, divinità della Santeria, religione cubana. Il dio è associato alle malattie infettive e contagiose e a lui ci si rivolge per guarirne. L’ elaborazione del brano ha preceduto di un paio di mesi l’esplosione della pandemia tuttora in corso, un ironico segno del destino. Questa versione è caratterizzata da un sound elettronico e il gioco di voci e chitarre acustiche che possono suonare come una parodia dello stile “mariachi”. Personal Jesus è il brano già uscito come singolo a settembre e che richiama, per atmosfere e uso della voce la, cover di Bill Withers. In Sous le ciel de Paris Marco gioca solo d’orchestra, per ottenere effetti di colore sempre cangianti, come per suggerire il trascolorare della luce metropolitana dal chiarore diuturno alle tenebre dei quartieri delinquenziali. L’uso di alcuni strumenti, poi, come l’accordéon, i pesanti fiati del finale, la gran cassa e i piatti fragorosi fino all’eccesso, trasporta il brano dall’atmosfera iniziale, sognante come la danza di amanti, a un clima tenebroso e quasi circense. Se Black Coffee è un “classico”, ovvero uno standard jazz che, come molti brani degli anni trenta, sa farsi voce della condizione dolorosa delle donne, Hurt è un vero capolavoro del nostro tempo, cavallo di battaglia della grande Aguilera e difficilmente interpretabile da altri; qui Marco ha saputo adattare il brano al suo timbro scuro anche grazie ad alcuni artifici compositivi che lo rendono attuale e aggressivo. In The Power of Love Marco mantiene intatta la potenza di uno dei brani d’amore più forte di sempre. Gli altri brani del disco, in lingua italiana, formano una sorta di trittico che richiama voci maschili tra le più belle dal dopoguerra ad oggi. Amore fermati è aggiornato grazie all’introduzione di alcuni spunti jazz e, soprattutto, l’aggressività delle chitarre elettriche che serpeggiano per la verità in tutto il mio album. Con Estate di Bruno Martino e Guarda che luna di Buscaglione torniamo a capolavori arcinoti della stagione forse più feconda e più bella della canzone italiana. Ma torniamo anche a un tempo in cui alla voce maschile si chiedevano profondità e spessore timbrico che oggi non sembrano più interessare. Estate segue un preciso sviluppo musicale, dalle prime battute, quasi spoglie, dove la voce è sorretta solo da una chitarra acustica che sembra vagare in cerca di un centro di gravità armonica secondo la tecnica rinascimentale del recercare, al dilatarsi della paletta sonora fino a includere strumenti e sonorità di oggi, ma anche colori orchestrali ottocenteschi. Il brano di Buscaglione è stato invece arrangiato in modo che segnasse una traiettoria compositiva a tre tappe: dall’atmosfera oscura, chiusa, vagamente jazz e sperimentale dell’inizio, si passa a un momento più aggressivo che però sfocia in un lungo brano orchestrale che prende la forma di un tango alla Piazzolla. Così l’album si conclude in fondo circolarmente, come escursione nelle regioni musicali da Marco più frequentemente abitate (pop, jazz, soul, funky, elettronica, ecc.), per tornare alle origini, ovvero alla musica orchestrale da cui parte l’intera sua esperienza di musicista.
#NewMusicThursday – Nautilus di Marco Sirtori – La recensione
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