Gorilla, il nuovo singolo di Boccanegra che è stato presentato in una mini-tournée di tre date: a Genova il 23 settembre, in concerto ai Giardini Luzzati nell’ambito del Goaboa Festival, poi a Bologna al Frida nel parco e e infine a Faenza il 2 ottobre, nella magica e prestigiosa cornice del MEI.
Ciao! Benvenuto nel MEIweb: racconta ai nostri lettori chi è Boccanegra?
Da dove deriva questo nome e come nasce la tua passione per la musica?
La mia passione per la musica è nata quando ero piccolo. Quando a otto anni ricevetti la prima chitarrina, non me ne staccavo più strimpellando a ordine invertito i sei accordi che mi erano stati insegnati: questa visione convinse i miei genitori a mandarmi a lezione da Marco Galvagno, chitarrista flamenco, che da lì in poi mi indirizzò alla chitarra classica. Giunto al liceo, con quattro amici che come me suonavano da tempo mettemmo su un gruppo. Inizialmente portavamo nei locali cover ironiche e improbabili del repertorio italpop; poi iniziai a scrivere e iniziammo ad arrangiare. Venendo da Genova, io e gli altri componenti cercavamo un nome per il gruppo che in qualche maniera fosse evocativo per la città e i sentimenti che questa evoca. La nostra sala prove era in via Boccanegra: Simon Boccanegra è stato il primo doge di Genova ai tempi della repubblica marinara, quindi tutto calzava alla perfezione. Capimmo solo dopo che il Boccanegra della via non era Simone! Ormai il nome era preso e suonava per cui decidemmo di tenerlo per noi.
Con l’università Boccanegra è diventato il mio progetto solista e adesso, dopo un lungo periodo di produzione al Tabasco Studio, eccomi qua pronto per mostrare la mia nuova stoffa.
Gorilla è l’ultimo singolo uscito, che hai deciso di presentare in un mini tour. Venendo anche ospitato da noi al MEI. Raccontaci com’ è andata?
Anzitutto è stato incredibile tornare dal vivo in maniera continuativa. Questo non mi succedeva da un po’ e l’inverno ‘20-21 è stato traumatico da questo punto di vista. L’unica cura per questa ferita era riportare la musica sul palco e sono contento di averlo fatto in tre location così diverse tra loro come quelle toccate nel minitour: il mio passato (Genova), il mio presente (Bolo), la location inaspettata (Faenza). Era necessario (ri)partire, ora il live è affiatato e sono fiducioso che da questo momento in poi i live riprenderanno importanza nelle nostre vite; io sono carico a molla nello spingere questa ripartenza. Ancora più carico di farlo insieme al Gorilla Novità, che vi invito ad ascoltare per prendere parte a questa grande rinascita che dobbiamo abbracciare con entusiasmo.
Come descriveresti la tua musica con tre parole?
Così su due piedi mi viene da individuare questi tre termini, se non altro per l’ultimo album:
- narrazione: è mio obiettivo portare con me l’ascoltatore nelle atmosfere che ho nella testa; un utilizzo appropriato del linguaggio è il primo strumento per avviare questa connessione
- classicità: con i produttori siamo partiti dall’analogico per non denaturare la stoffa cantautorale delle canzoni portate in studio
- verità: credo in una verità non nostalgica e non depressa che possa essere trasmessa attraverso la musica a tanti ascoltatori che, non sentendosi compresi e accompagnati dalla musica italiana di adesso, cercano risposte nei testi straneri, liricamente più indipendenti di quelli italiani
Ci sono nuovi progetti all’orizzonte?
Dopo aver prodotto l’album, che ancora deve uscire, non ho mai smesso di scrivere. Adesso sono gasato di mostrare a chi mi sta intorno quello che ho fatto negli scorsi tre anni, è il frutto di una lunga osservazione che voglio restituire in una forma diversa. Per quanto riguarda le produzioni del futuro, è nelle mie intenzioni concentrarmi di più sull’arrangiamento fin da subito, cosa che facilita molto la realizzazione del pezzo in studio. Mi sto inoltre divertendo a praticare altre “attività del mestiere”: recentemente ho scritto per la prima volta una canzone perché venisse cantata da un’interprete e durante il tempo di lockdown ho tradotto una canzone dal francese, Ne me quitte pas del grande Jacques Brel, cosa che mi ha divertito molto dal momento che richiede uno sforzo creativo di tipo differente oltre che a un capillare lavoro di esegesi.