“Felina” non è solo un disco ma anche l’antico nome etrusco di Bologna. Ed è alla grande città rossa che il compositore americano (ormai italiano d’adozione) David Salvage, dedica la sua scrittura dentro una lunga sequela di scritture in piano solo: ben 25 tracce, 25 istantanee di pochi minuti come fosse un disco di pop dove però il pianoforte dialoga con i sentimenti e le visioni di una città d’arte e di cultura, tra portici infiniti, piazze e palazzi… ed è splendido questo video ufficiale dedicato al “Palazza d’Accursio”, terzo movimento dei “Giardini invernali”. La nuova musica classica diviene oggi avanguardia del nuovo mondo.
Bologna. Per te cosa rappresenta questa città oltre che il luogo dove vivi?
Rappresenta quello che una città può essere—bella e attiva, ricca di patrimonio storico, ma piena di vita. Rappresenta il fatto che anche in posti così belli ci sarà sempre la tensione tra ordine e disordine e che, affinché regga la pace, questa può dare spinta a nuove idee, nuova musica.
Secondo te la sua architettura, i suoi portici, le sue vie, i suoi palazzi… ha davvero l’aria di essere un’opera per piano solo, vero?
Sì, nel senso che tutto ciò si unisce in un ambiente coerente ma anche capace di sorprenderci. I grandi strumenti musicali sono così: dotati di un suono singolare ma anche della possibilità di esprimere colori diversi.
E come ogni città ci viene anche da chiederci della periferia. Hai “visitato” e raccontato in musica anche queste?
Ma certo! Non è possibile ascoltare Felsina senza percepire alcune raffiche di jazz e di minimalismo. Ma si tratta anche di una “periferia” temporale—cioè, la musica del passato remoto, come si sente nelle ricomposizioni di brani antichi (“Riecco la primavera”, “Dall’orto se ne vien”, e “David’s Version”, per esempio), suoni che ci vengono dal Medioevo e dal Rinascimento.
E le stagioni, dentro Bologna come dentro il disco… cambiano il suono alla composizione? In qualche modo cioè un luogo meritava di essere “suonato” solo in una precisa stagione?
Per me, la musica è una risposta. E la varietà di appelli—s e si può dire—non ha limite. L’importante è essere onesti di fronte all’incontro con la vita, invece di sforzare i stimoli a adeguarsi a una visione—o stile musicale—che esiste già. Quindi, sì: la musica cambia con la stagione, con l’ambiente, co lo stimolo. Almeno è così per me.
La produzione di “Felsina”? Somiglia alla fine a quanto avevi nel cuore?
Più o meno sì, e mi sento fortunato. Però, l’etichetta ha voluto togliere un brano, e ce l’abbiamo fatta. Inoltre, ha voluto cambiare l’ordine del primo gruppo di brani (i primi sei) e abbiamo di nuovo trovato un accordo. Vale la pena dire che è possibile al giorno d’oggi realizzare dischi senza una casa discografica. Ma nel mio parere, fa bene ai musicisti non essere assolutamente autonomi, non essere chiusi ai suggerimenti di gente che ci può aiutare a condividere la nostra musica col mondo. Volevo lavorare con una casa discografica anche per questo.