Torna Aban e lo fa con un disco prezioso sin dal primissimo ascolto. Si intitola “Rap Inferno”, consumato su strada, sulla pelle, sulle ferite all’ego come alla pancia. Sputa veleno e non la manda a dire Aban, sputa acido di verità sulle piaghe del perbenismo sociale schiavizzato dall’apparire, dalla perfezione, dal consumismo spietato. Sputa Aban dentro un rap ruvido e viscoso, nella voce ormai inconfondibile, nel modo che ha di graffia e nella liquidità che ha di scivolare nel flow della melodia. C’è poco altro da aggiungere: ennesima prova di gusto, mestiere e di suono per l’MC leccese e cui dedichiamo un’intervista decisamente rivolta al sociale… e come evitarlo dopo l’ascolto di “Rap Inferno”?
Uno sguardo al gigantesco mondo del Rap: oggi come si sta evolvendo e cosa sta diventando?
Come tutte le grandi forme d’arte che nella storia hanno accompagnato l’anima delle persone stanno ormai diventando omologazione e schema, togliendo all’arte la sua fondamentale linfa vitale, le emozioni, l’anima. Se la musica è capace di creare un’emozione, sia fisica (come i brividi sulla pelle quando ascolti un pezzo che rispecchia e ricorda qualcosa di importante) è capace anche a livello mentale di far cambiare scelte, percorsi e decisioni. Ogni altra forma d’arte non ha questa caratteristica particolare, quella di poter comunicare degli insegnamenti. Come una cellula del tempo che racchiude i primordiali sentimenti dell’uomo e li tramanda nel corso del tempo tramite una radice che si dirama in mille altre forme di musica. Una cellula del tempo che contiene esperienza, quelle che prima o poi dovrai vivere o quelle che hai già vissuto, e in una maniera o nell’altra le conoscerai. Fuscere pueti, scappare none. Ossia chi sa cogliere l’essenza della creazione musicale integra e definita nello spazio ad essa assegnata può dire di produrre ancora vera musica. Chi si affida ancora alle emozioni, all’esperienza con cui si è venuti a contatto dell’odio, dell’amore o della gioia non ha possibilità di non trovarsi così in alto da non poter vedere né comprendere chi riduce la musica ad una ripetizione di note e parole dedicate ad un ambito prettamente materialistico, lontano da quello che è il nucleo primordiale e ancora immutato della vera musica.
E Aban come sta cambiando in relazione a questo futuro?
No future.
Ecco parliamo di futuro tecnologico: l’elettronica ha sempre imperato nella tua musica ma ovviamente in tutto il movimento del genere. Secondo te, vista l’immensa abitudine all’elettronica di oggi, anche questo genere si sta un poco omologando e un poco mescolando al resto del mondo? Oppure riesce comunque a mantenere una sua identità?
Assolutamente mantiene una sua identità dal mio punto di vista, che non è semplicemente rap ma hardcore. L’elettronica è parte del nostro bagaglio cucitura le e degli anni in cui abbiamo cominciato a formare la nostra cultura musicale ed è parte del nostro panorama musicale tanto quanto i campioni e i loop preso dai grandi singoli della storia della black music. Per noi in particolare Southfam ancora in maniera più insistente, data la passione per il dirty south/trap già dai primi anni 2000.
“Rap Inferno”… ma quanta rabbia hai vomitato dentro?
Quella necessaria a scrivere un disco di Aban, ossia sempre portante. Credo che il canale che connette la creazione e la produzione musicale al dolore sia a mio avviso la chiave per un livello superiore di produzione. Come diceva Luigi Tenco “quando sono felice esco, quando sono triste scrivo”.
E visto il tema caro a me e a molti miei colleghi, soprattutto oggi che siamo davvero in un apice di finzione plastificata: in che modo Aban reagisce a tutto questo? In altre parole, come ti rapporti al mestiere che arriva dopo la scrittura del disco… quindi parlo della promozione, delle radio, dei canali digitali. Da li parte l’omologazione… e li però tutti torniamo per far vivere il nostro mestiere. Non ti sembra una contraddizione? Come la vivi?
Combattere il sistema con le sue stesse armi. “Fight fire with fire” cit. Metallica.