Tre nomi, tre colonne, tre storie davvero impossibile da riassumere. Tony Farina, il grande Vince Pastano e poi Dorothy Bhawl. Un trio che si fa conoscere con il moniker Malcarna che pubblica per Stridulation Records un disco davvero interessante, privo di appigli pop, dove il blues dell’anima diviene noir, acido, tribale… dove il dialetto lucano narra di storie e leggende, di credenze popolari e “canzonature” di altre epoche… dove il gotico prende il posto dei suoni acustici, dove il nero e la liturgia di alcuni gesti prende il posto dei soli incisi pop da cassetta. E su tutte forse “Oh Signore” con la splendida collaborazione di Raiz o il video del singolo “Nunn’è rrelore”, fotografano a pieno questo disco che troviamo anche in una preziosa release in vinile. Una rivelazione contro la plastica digitale delle nostre abitudini.
La prima grande curiosità è questo titolo. Chi di voi è la “Malacarna”?
Nessuno. Il titolo deriva da un soprannome familiare, un nomignolo che porta con sé l’intero compendio delle credenze popolari meridionali verso una figura che al contempo incuteva rispetto e timore. È un personaggio fittizio. Maria Lou, del brano omonimo, è una di questi: una donna additata a puttana, condannata dal popolo, una sorta di Maddalena.
Che sia la musica la vera Malacarna di questa vita?
La musica ha il potere di esorcizzare e nel nostro caso denuncia con un monito la discriminazione subita da Malacarna inscenando nel brano Maria Lou, il paradosso che ci induce a condannare sempre gli altri, senza analizzare mai se stessi, La musica non sarà mai la Malacarna, grazie al suo ancestrale potere di liberare ogni forma di costrizione dell’anima.
E poi la copertina: un rito voodoo?
La copertina è una metafora delle malelingue, infatti l’opera di Dorothy utilizza una lingua con tre chiodi piantati come quelli della crocifissione di Cristo condannato a causa delle malelingue.
Parliamo del suono: come l’avete costruito? Davvero poca attinenza con l’Italia di oggi… e per fortuna dico…
Il suono di Malacarna parte da composizioni davvero semplici da parte mia. Si tratta sempre di giri di blues scarni, concetti semplici basati sulla poetica dell’estrazione che però nelle mani di Vince riescono ad esplodere in creazioni soniche grazie alla sua ricerca approfondita ed eclettica. Malacarna è il frutto di una costante ricerca negli anni che combina diversi generi musicali: blues/tribal/cinematic/goth/industrial.
La chiusa della tracklist è affidata a “Resta cu mmi” che forse non a caso par essere una celebrazione liturgica di tutto il disco vero?
Esattamente. La canzone nasce come un pezzo strumentale con una melodia molto malinconica e solo in seguito viene aggiunto il testo che nonostante l’ermetismo e le poche frasi, tocca tutti i temi portanti di Malacarna: l’amore, il dolore, la vita e la morte.
Si parla di progetto audio/visivo. Come si evolve in tal senso tutto? Insomma: come il video incontrerà l’audio?
Per audio/visivo si intente nel nostro caso, un progetto musicale che incontra “l’immagine”. Un ’immagine potente, d’impatto che riesce a raccontare con la sua essenza più di quanto potrebbe fare il video. L’esperimento video sul brano: Nunn’è rrelore” resta tale e non è detto che venga riproposto necessariamente. Il suono e i racconti di Malacarna” si fondono con le immagini realizzate da Dorothy, utilizzandone il potere evocativo, Esse incarnano ogni personaggio menzionato nelle canzoni del disco, esprimendo in modo eloquente gli scenari che compaiono nell’album e le visioni in esso contenute.