Una storia che sa più di biografia che di sperimentazione. Ed è la storia di Riff Willer, moniker del cantautore rock Amedeo Quagliarella, che oggi approda ad un disco d’esordio come “Streets of chance” verso cui di certo piovono copiosi e spontanei certi paragoni altisonanti anche e soprattutto per sottolineare una personalità in decisa formazione e alla continua ricerca di un suo personalissimo equilibrio. Da Dylan agli Oasis passando per quel certo suono inglese (manco a dirlo) rock ferroso, immediata conseguenza di quel modo di fare punk che si aveva negli anni ’70. L’aria sbarazzina ma anche quel rifiuto di cliché pop che rendono questo lavoro decisamente fumoso, acido e libero… ecco: soprattutto liberi ci sembrano il suono e la lirica di Riff Willer.
Titolo possibilista direi… la vita per te è avere tante possibilità?
La vita, per me, è la ricerca costante di un equilibrio. Poi succede che, lungo il percorso, compaiono delle opportunità. Sta a noi rendercene conto, inseguirle e cercare di coglierle.
Rock sporco o almeno ci prova. In molti passaggi però resta sempre assai composto, anzi pulito… nonostante il taglio che cerca di portare in scena… non trovi?
Beh, scrivo e compongo canzoni con l’obiettivo che poi qualcuno riesca a identificarsi con le mie emozioni o sensazioni, indipendentemente se il suono sia pulito o meno. Diciamo che, assai di frequente, metto in musica parte del…ruvido che c’è in me.
Da più parti si parla di radici inglesi. Io ho in mente la fase berlinese di Bowie e di Iggy Pop, la roots america di Dylan o quella del grunge… sono andato troppo lontano?
Sono onorato per i paragoni! Senza dubbio sono delle influenze e dei punti di riferimento imprescindibili. E inarrivabili.
In una Italia indie dove imperano produzioni che seguono stili ben precisi, come giustifichi questo tuo “fuori pista”? Mi incuriosiscono sempre le contaminazioni…
Faccio musica per il puro piacere di farla. Poi, per me, il termine indie sta a significare la possibilità di poter creare i propri pezzi in piena libertà creativa. Forse il termine con cui molti artisti, oggi, si definiscono indie, facendo un classico e rispettabilissimo pop, che, alla fine, è quello che faccio anch’io, è abbastanza fuori pista.
Parliamo di produzione: in che modo hai cercato questo suono? Un quadro vintage anche nella scelta del video e della copertina…
Essendo il mio primo disco ho cercato di intenderlo come un biglietto da visita. Ho raccolto le mie influenze principali, dai Beatles agli Stones, Blue a Noel Gallagher. Per il video e la copertina ho puntato sulla semplicità, con un occhio di riguardo ad alcuni lavori underground, che, secondo me, rispecchiano il mio genere. Coreografie e video troppo appariscenti non fanno al caso mio.