Con l’ultimo Dpcm del 3 novembre viene stabilito che tra gli esercizi commerciali che offrono servizi di prima necessità e che possono restare aperti nelle zone rosse vi siano le librerie. È una decisione importante perché come abbiamo sempre sostenuto la cultura è un elemento fondamentale della vita sociale.
Quello che sorprende è invece l’esclusione dei negozi di dischi da tale esenzione. Va bene che siamo nell’era dello streaming e che il prodotto fisico rappresenta poco meno del 20% del mercato ma, come si è visto, è stata la musica, nel primo durissimo lock down, a sostenere gli italiani e confortarli con i famosi concerti online o i cori dai terrazzi delle città italiane. La musica, come sostengono molte ricerche, è curativa, anti depressiva, unisce la gente, è un linguaggio universale. Male quindi escludere i negozi di dischi discriminandoli rispetto alle librerie, cosa che peraltro avviene da sempre sul piano fiscale, con un IVA al 4% sulla biografia di Verdi e una al 22% sulla registrazione dell’Otello con Placido Domingo alla Scala.
La musica è un bene essenziale e molte persone già soffrono per l’assenza di eventi dal vivo e per le limitazioni imposte. Non tutti sono ascoltatori di musica in streaming, soprattutto adulti di una certa età, sosteniamo pertanto i consumi equiparando i negozi di dischi alle librerie, come peraltro già accade nelle catene multi prodotto. Chiudere i negozi di dischi indipendenti colpirebbe inoltre una buona fetta di piccoli esercizi che oggi già soffrono la concorrenza dell’ecommerce e per i quali un nuovo lockdown sarebbe il definitivo colpo mortale.
https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2020/11/04/news/lockdown-perche-librerie-aperte-e-negozi-di-dischi-no-la-musica-e-come-un-bene-essenziale-1.39500276?fbclid=IwAR2j_RJn2onxZTQU5sa7Xtj-yKDtlcQ4SoWuzWMTFh1RcdfxCz0HkG5WKjg