Overlogic, “Delife”
(Urtovox, 2020)
Anticipato dai singoli “Pick, Click, Shit” e “Whatever you may fear”, il duo bolognese degli Overlogic, formato dal tastierista Francesco Cavasinni e dal batterista Emanuele Orsini, dà vita a “Delife”, nove tracce che sono un rimando nostalgico a quell’elettro-pop così nineties da sembrare un dolce ricordo, in apparenza, ma basterà arrivare anche solo a metà dell’ascolto per accorgersi che c’è dell’altro.
Come suggerisce il loro nome infatti, gli Overlogic si spingono amabilmente oltre i confini dell’immaginabile e dell’ovvio per portare a casa una rilettura dell’elettronica soft in chiave squisitamente contemporanea, quasi industrial, che fa sì che il lavoro in questione abbia una fruizione più che intrigante, che richiede un ascolto meditato. Andando avanti fino alla fine infatti, “Delife” si rivela un lavoro sui generis dedito alla contaminazione, alla ricerca, all’accuratezza dei dettagli, in cui nulla, tantomeno la scrittura testuale, originale e raffinata, viene affidato al caso.
Sonorità ipnotiche e sognanti conducono l’ascoltatore in un viaggio musicale dolce e magnetico, di amplissimo respiro, elegante ma non pretenzioso, elaborato senza troppo spazio dedicato a fronzoli ed orpelli. “Delife” è, pertanto”, un album compiuto e perfettamente confezionato, godibilissimo.
Traccia migliore: “Time-Lapse”
Voto: 8
Il Geometra Mangoni, “La meccanica dei gorghi”
(Qui Base Luna, 2019)
“La meccanica dei gorghi” è il nuovo lavoro del toscano Maurizio Mangoni, in arte e in musica Il Geometra Mangoni, anticipato dal singolo “Gli scalini della gioia”, fuori a quattro anni di distanza dall’esordio “L’Anticiclone delle Azzorre”.
Nove brani in italiano vanno a comporre questo bell’album dalle sonorità pop che, talvolta, virano verso un elettro-pop pacato ma ben deciso e congeniato, che conferisce al disco in questione un velo di eterogeneità musicale composita e ragionata. Quasi un concept sul ricordo è questo lavoro scritto con cura e che con altrettanta delicatezza sviscera i sentimenti legati ai cambiamenti, alla mutevolezza, ai rimpianti, alle ritrovate consapevolezze e alle passioni viscerali.
Un’autoanalisi pensata e catartica riversata in una musica che, in barba alle mode spesso fatue del momento, non ha la pretesa di essere originale – anzi, nei refrain così tradizionali e melodici si riversano migliaia di panorami sonori anni novanta – ma che altrettanto scientemente dona al fruitore una maturata consapevolezza della propria matrice.
Un ascolto piacevole, riflessivo, ardente ed energico, dai contorni definiti dettati, forse, chissà, dagli stilemi della professione nel nome d’arte, il tutto sublimato da una voce piena e possente.
Traccia migliore: “Odiarti un po’”
Voto: 7.5
FRANCESCA AMODIO