Mercoledì 13 maggio alle 15 Michele Minisci PER LA DIRETTA FACEBOOK SULL’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI CHET BAKER con Bosso Fresu e Boltro
Dopo il racconto dell’incontro tra Michele Minisci e un mito del Jazz: Chet Baker. Ci saranno gli interventi di Fabrizio Bosso e Flavio Boltro e un toccante ricordo di Paolo Fresu.
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Mercoledì 13 maggio, nella ricorrenza del 32° anniversario della morte di CHET BAKER, uno dei più grandi trombettisti della storia del jazz, sulla mia pagina Fb, alle 3 del pomeriggio racconterò del mio incontro con il mito: l’orgoglio di far suonare il grande musicista nel nostro club, il Naima di Forlì, l’ansia che mi attanagliava lo stomaco quando sono andato a prenderlo in albergo e non l’avevo trovato e quindi la paura di non trovarlo per portarlo al club in tempo per il concerto, l’emozione a sentirlo cantare 4-5 canzoni invece delle solite 3 di ogni suo concerto.
Chet quella sera concesse molto spazio ai suoi compagni, Michel Grailler al piano, Enzo Pietropaoli al contrabbasso e Nicola Stilo al flauto, anche troppo, forse per riposare, riprendere fiato, perché si vedeva che si stancava presto. Ma non appena rientrava nel pezzo, mi sembrava di sentirlo suonare come se avesse ancora accanto Gerry Mulligan o Stan Getz, e di rivederlo sui palchi di tutto il mondo, osannato come il miglior rappresentante di quella lost generation che aveva tracciato negli anni Cinquanta un nuovo corso musicale nella storia del jazz, il suggestivo cool jazz.
Chet suonò per tutto il tempo seduto su una sedia, con le gambe a cavalcioni, con quegli stivaloni da cow boy che ogni tanto riflettevano un luccichio strano dalle borchie argentate incollate sui lati, e quella sera cantò più del solito, cinque brani invece delle solite tre canzoni di ogni suo concerto, con una memorabile My funny Valentine e una indimenticabile Forgetful, con qualche incursione della sua tromba, il pianoforte e il contrabbasso, verso la fine, forse per farsi perdonare la paura e la sofferenza che mi aveva inflitto.
La sua voce sottile, delicata, sofferta, a volte infantile, mi è rimasta dentro il cuore per molto tempo, così come mi sono rimaste impresse nella memoria le rughe del suo viso, profonde e antiche, che parevano solcate da fiumi impetuosi di dolore ma che allo stesso tempo sembravano rifugi, anse, porti in cui la sua anima poteva trovare pace e tranquillità.
La pace del genio, la pace del mito, al riparo dalle tragedie che incombevano sulla sua vita.
Dopo qualche anno Chet sarebbe “volato” dal quarto piano del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam, alle 3 del mattino, probabilmente “spinto” da un corriere della droga mai pagato, mettendo fine alla sua vita e spezzando un pezzetto della nostra.
Era il 13 maggio del 1988. Quella sera in tutti i jazz club di Parigi non si suonò.
Michele Minisci
Fondatore del Naima club