Oltre le stelle (7)
Consapevole che con il senno di poi spesso non mi trovo più d’accordo con me, anche per colpa di ascolti non sempre approfonditi e dello spirito ludico della rubrica, in questo spazio riproporrò via via tutti i miei “Oltre le stelle”, in ordine cronologico, cinque per volta.
MAGNETIC FIELDS
69 Love Songs
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Non so dirvi se il suo inserimento tra i venti album più importanti degli anni ‘90 sia davvero giustificato, né tantomeno se meriti, come si è scritto, l’appellativo di “disco pop del secolo”. E non so neppure se sull’unanime plauso della redazione pesi l’entusiasmo per la scoperta ancora recente. Quello per cui non temo di mettere la mano sul fuoco, però, è che anche dopo numerosi ascolti 69 Love Songs non smette di appassionare, commuovere e intrigare, rivelando a ogni passaggio nuove sfumature e nuovi lampi di genio ispirativo capaci di sorprendere quanti credono di sapere già tutto sulle canzoni pop e sulle canzoni d’amore. Un lavoro splendido, insomma. La cui imperdibilità è sottolineata da un rapporto quantità+qualità/prezzo che si può definire solo stupefacente.
(da Il Mucchio Selvaggio n.440 del 1° maggio 2001)
STEPHEN MALKMUS
Stephen Malkmus
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Serbo un ottimo ricordo dell’intervista fatta un paio d’anni fa a Stephen Malkmus: benchè poco loquace, probabilmente per un misto di timidezza e di difficoltà a spiegare con le parole ciò che gli riesce splendidamente con le canzoni, l’(ormai)ex leader dei Pavement mi è parso proprio una bella persona, innamorato della musica (non solo della sua) e lontano anni luce dalle pose da rockstar che pure gli sarebbero permesse dal suo curriculum e dalla sua posizione di primo piano nell’ambito del rock dei ‘90. Il suo esordio solistico non ha detto nulla di inedito sul suo conto, a meno che non si vogliano considerare “novità” certe strutture sonore appena meno contorte e più cantautorali rispetto al classico suono della sua storica band; eppure, ascolto dopo ascolto, si è rivelato un eccellente album, intenso e godibile oltre che dotato della solita, straordinaria obliquità melodica. La stella che manca per il poker l’ho riservata per il prossimo lavoro, quando il Nostro si sarà magari maggiormente affrancato dai suoi trascorsi ed avrà (ri)cominciato a osare.
(da Il Mucchio Selvaggio n.441 dell’8 maggio 2001)
STEVE WYNN
Here Come The Miracles
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Nonostante il rispetto, la stima e la simpatia che da sempre provo per Steve Wynn, un musicista e un uomo dal quale in moltissimi dovrebbero prendere esempio, non scambierei la sua intera discografia solistica con un solo album dei Dream Syndicate. Non credo che tale posizione (un po’ radicale, ne convengo) sia dettata dalla nostalgia, quanto piuttosto dalla considerazione oggettiva che tutto quel che Steve ha firmato in proprio non vale – soprattutto per l’intensità, che come è noto pesa più degli aspetti formali – quanto realizzato dal Sincacato del Sogno. Here Come The Miracles è senz’altro un buon album, forse il migliore di un repertorio caratterizzato da alti e bassi qualitativi anche se mai meno che dignitoso… però, scusatemi, non riesce a prendermi fino in fondo, a dispetto del notevole eclettismo e di una verve interpretativa assai vivace. Per placare la mia sete di Steve Wynn preferisco affidare al lettore un CD home-made dove scorrono brani davvero memorabili come That’s What You Always Say, Tell Me When It’s Over, The Days Of Wine And Roses, Bullet With My Name On It, The Medicine Show, Boston, The Side I’ll Never Show e Loving The Sinner Hating The Sin. Fate lo stesso, e poi provate a darmi torto.
(da Il Mucchio Selvaggio n.442 del 15 maggio 2001)
TORTOISE
Standards
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Con la sincerità che sempre mi contraddistingue e che in Oltre le stellediventa forse anche troppo esplicita, che posso mai dirvi a proposito dei Tortoise di Standards? Che sono bravi, certo, anche se rispetto ai vecchi lavori qui sembra farsi strada un compiaciuto manierismo, ma anche che la loro formula non riesce davvero a coinvolgermi. Non c’entra la (relativa) carenza di fisicità e non c’entra la mia idiosincrasia per la musica strumentale: è solo che l’ensemble di Chicago non mi comunica vibrazioni positive ma solo cerebralità, in qualche modo sottolineata dalla scostante veste grafica. Sono io a essere limitato? Può darsi, anche se oltre venticinque anni fa coltivavo le più astruse avanguardie tedesche e ho persino assistito a un concerto di Philip Glass. Però questi Tortoise, mi perdonino i pasionari del post, non catturano la mia attenzione: qualcuno cercherebbe di farmi condannare al rogo se dicessi che trovo quelle di Standards piacevoli armonie da sottofondo?
(da Il Mucchio Selvaggio n.443 del 22 maggio 2001)
ARAB STRAP
The Red Thread
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Non ascoltavo per intero The Red Thread da quando, oltre tre mesi fa, l’ho frequentato assiduamente per recensirlo; e poi, come spesso accade a chi di CD deve sentirne troppi, sono stato costretto a lasciarlo da parte, per recuperarlo – con un po’ di fatica: chissà come, era scivolato nel settore “americani” – proprio per questo “Oltre le stelle”. Che dire? Lo splendido ricordo che mi era rimasto impresso nella mente (e nel cuore) è stato confermato, e le dieci canzoni dell’album continuano a sembrarmi intensissime e bellissime con le loro atmosfere ombrose e cariche di vellutata tensione. Certo, non sono canzoni per tutti i palati, ma che nel loro ambito espressivo gli Arab Strap siano autentici maestri è una tesi difficile da confutare; così come quella che vuole che di notte, al buio e in cuffia, l’abbandono alle melodie mesmeriche di The Red Thread sia un’esperienza visionaria da vivere a ogni costo.
(da Il Mucchio Selvaggio n.444 del 29 maggio 2001)