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Giorgia D’Artizio ha appena pubblicato “Nomea”, un album che è anche una suite tra jazz e folk, con l’aiuto di numerosi collaboratori, per rappresentare il tema della follia, con tutte le sue svariate implicazioni. Le abbiamo rivolto qualche domanda.

Qual è il significato dietro il titolo “Nomea”?

 

La parola racchiude un significato che può essere ambivalente, quello della risonanza del nome, della fama, del successo, la nomea di fare qualcosa bene o male.

Sembrerebbe che tempi addietro fosse usata per raccontare notorietà in positivo, mentre nei nostri di tempi viene spesso usata in chiave negativa.

Il concetto di nome nelle canzoni di nomea viene messo in discussione ed è diventato una tematica ricorrente. Il suono della parola è poi musicalmente interessante.

 

Com’è nato il concetto di “Nomea” come suite musicale?

 

Con Max avevamo già scritto un’operetta di 6\7 brani collegati tra di loro, “Adriatico Statico” e volevamo proseguire in quella direzione artisticamente.

Ci interessava comporre un album che avesse un senso dall’inizio alla fine da sviluppare con persone interessate alla composizione.

 

Come hai scelto i collaboratori per questo progetto?

 

Con Max e Freddy collaboriamo in diversi progetti da anni, Max ha pensato di chiamare dei pezzoni del jazz con cui mai mi sarei sognata di collaborare, in questo lo devo ringraziare assai!

Clarissa Durizzotto è una sassofonista e clarinettista unica, dotata di una spiccata personalità e bravura nel produrre suoni anarchici e unici. Mirko Cisillino è un altro grande, suona divinamente tromba, trombone e fisarmonica, sono tre in uno capite?

 

Marco D’Orlando suona batteria e percussioni in maniera variegata e raffinata ed è stato sostituito da Camilla Collet che spacca in quanto a conoscenza ed eleganza. Le ragazze del coro Laura, Caterina e Daisy sono bravissime e gli arrangiamenti dei cori di Laura hanno arricchito, vestito i brani, ci siamo trovate e date la mano nell’arte della musica, questo quando succede è molto bello.

 

In squadra sono entrati come sostituti anche il valoroso Gabriele Marcon alla tromba e la bravissima cantante Rosa Mussin munita di vocoder, con cui abbiamo cantato in terra ligure a Busalla e a Genova per le nostre prime presentazioni dell’album.

 

Puoi parlarci delle influenze letterarie che hanno ispirato i testi dell’album?

 

Ma posso citarne alcune di cui sono conscia, premettendo di non essere assolutamente un’intellettuale ma bensì persona curiosa e sensibile. Antonin Artaud è un autore per me importante, mi ha sicuramente ispirata con il suo Teatro e il suo Doppio, Alice in Manicomio e Lettere e Traduzioni da Rodez, per gli Analfabeti. In Chi Non C’è apro il brano con una sua citazione: ”La crudeltà è coscienza, è lucidità esposta, non esiste crudeltà senza coscienza”.

È un brano che mette in dubbio la lucidità mentale. Anche il ritornello fa parte di una sua reinterpretazione a un monologo di Carroll di Ciccio Frittella in Alice nello Specchio: “Chi non c’è non sa, chi obbedisce non patisce”.

 

Pure Italo Svevo mi ha aiutata perché lessi in quel periodo La Coscienza di Zeno, che mi mostrò una chiave di scrittura ironica per narrare fatti drammatici e psicologici.

In una stramba è arrivata la Ferrante con il suo concetto di “smarginatura”, e nel finale, dove chi racconta è morto, non più sul pianeta Terra Madre, compare Sylvia Plath con parole riprese dalla sua bellissima e toccante poesia Lady Lazarus.

Lei dice “Cenere, cenere, frughi e rimesti. Carne, ossa, non ci sono resti”.

Noi diciamo: “I nostri corpi di passaggio terrestri, della carne e delle ossa non rimarranno resti”.

 

Quali emozioni speri che il pubblico provi ascoltando nomea?

 

Uhh che domandona!

Forse possono essere diverse data la complessità dei brani e dell’album in generale.

Dipende sempre da come chi ascolta interpreta.

Il massimo per me sarebbe che nomea riuscisse a fare sia ridere che piangere, e che potesse dare la possibilità a questi musicisti pazzeschi di farsi conoscere in tutto il loro splendore.

Penso contenga valido materiale sensibile eh…

Credo sia un tipo di suite che richiede più ascolti e concentrazione, e dal vivo viene veramente ogni volta diversa in qualcosa.

Nomea è una forma di teatro-canzone che si presta alla contaminazione e che potrebbe tranquillamente sbarcare nei teatri. Ci piacerebbe molto, ci sentiamo affini a quel mondo.

Ci divertiamo quando la suoniamo, questo è importante.

PAGINA FACEBOOK: Giorgia DArtizio

CANALE YOUTUBE:  UCMHjwsNSwEsoQG_PC1K2yDQ

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