Lorenzo Gabanizza, sicuramente un musicista avanti nei tempi, ha rivoluzionato il modo in cui il pubblico vede la musica Country, aggiungendovi elementi personali che rendono questo genere intrigante. L’EP “Someone waiting at their door” è la preziosa anteprima di un album che farà sicuramente parlare di sé. L’Ep, fa parte di un album che vedrà la luce alla fine di quest’anno: “All the words we never said”. Lo abbiamo intervistato per Mezzogiorno in Musica Indie a cura di Ivana Stjepanovic
1)Ciao Lorenzo! Raccontaci di te e del tuo percorso artistico fin qui. Quali sono per te, i tuoi momenti più importanti della tua carriera musicale?
Il mio percorso artistico…Be’ diciamo che cominciai molto presto a cantare. Fui piuttosto precoce. Cominciai infatti a 3 anni e, non so come, ma cantavo in inglese i successi dell’epoca. Ahimè un’epoca lontana. Ricordo ancora i pomeriggi solitari nella stanza dei giochi a togliere dal piatto Mina, passione di mia madre, per ascoltare Candida di Tony Orlando o Roly Poly dei Stamford Bridge…I miei genitori avevano una collezione straordinaria di vinili, perciò, venni su a pane e buona musica. Non era raro che ascoltassi a quell’età musica dalla più astrusa e sconosciuta oggi come il rarissimo “Return of Django” degli Upsetter o successi dell’epoca quali “I want to take you higher” dei Sylvanus, Solitary man di Neil Diamond, San Bernadino dei Christie fino a musica classica come Dvorak o Vivaldi. A metà anni 70 suonavo già tastiere e batteria. Quando avevo 7 anni, con i miei fratelli Max (ora bassista di Mauro Pagani e New Era Mogol) e Luca, formammo una band …dovevi vederci. La casa aveva solo due stanze, una sopra l’altra e noi tre picchiavamo come pazzi su dei barattoli vuoti di marmellata e sottaceti ricoperti di tela cerata. Certo sembravamo più dei Mammutones che una band ma vi assicuro che facevamo un gran bel chiasso, anche più del punk che all’epoca stava cominciando a conquistare le classifiche di tutto il mondo. Il mio primo concerto lo tenni a Verona con una band folk, gli Emerald Green, nel 1979. Più o meno in quell’anno imparai anche a suonare la chitarra. Volli imparare perché avevo molte idee e mi serviva uno strumento adattabile e che mi accompagnasse ovunque. Ecco perché la chitarra…meno ingombrante e rumorosa della batteria che mi aveva già reso inviso a tutto il quartiere… Sarebbe troppo lungo percorrere qui tutto il mio percorso artistico che, come potete vedere, si spalma su mezzo secolo…Posso aggiungere che non ho mai sopportato le barriere, le etichette e quindi mi sono cimentato in vari generi musicali dalla classica al celtico, dal celtico al country, dal country all’Hard Rock. Che senso ha mettere limiti a ciò che non ne ha come l’arte? Sarebbe come tentare di mettere un muro in mezzo all’universo. Sicuramente i momenti più importanti della mia carriera sono due: il 1992, quando ebbi la fortuna e l’onore di far parte dello staff del grande Bardo Scozzese e icona degli anni 60, Donovan. Altro momento il 2004, quando per svariati motivi, conobbi il grande chitarrista Vic Elmes, già membro dei Christie ma anche compositore eccelso e persona straordinaria. Entrai a far parte della sua Band Christie Again e pubblicammo insieme un CD di successo con la Sony/MCP. Posso aggiungere che il mio brano “Meet me at the river” fu fra i più ascoltati del CD tanto che venne poi inserito nel “Greatest Hits” della band.
2)”Someone waiting at their Door” è il titolo del tuo ultimo EP. Come è nato questo progetto, quale è stata l’ispirazione? Che significato ha per te?
Be’ chiaramente, anche solo guardando la cover art di Tobe Roberts, si comprende che il brano è ispirato al terribile attentato terroristico dell’undici Settembre. L’ispirazione è nata ripensando all’attentato e dal bisogno di dire una chiara parola di condanna per tutti gli atti che cercano politici e non che cercano di realizzarsi attraverso la violenza. Per me questo Ep ha un significato molto importante: è un tributo, un ringraziamento e un gesto di devozione agli ideali di pace e libertà che devono a mio avviso guidare l’essere umano in questo nostro complicato e litigioso mondo.
3)Per chi ancora non ha ascoltato l’EP descivicelo con tre aggettivi
Profondo, appassionato, sincero.
4)Quali sono le tue maggiori influenze/riferimenti musicali?
Molte influenze, ma tengo a precisare che il mio, anche da quanto mi dicono gli addetti ai lavori, è un sound molto personale, riconoscibile fra gli altri. Del resto questo mi fa molto piacere perché nella mia scala di valori è un elemento irrinunciabile. Capisci? L’artista che riconosci fra gli altri grazie al suo imprinting, è già un passo avanti. Tuttavia, posso dire che le mie maggiori influenze musicali sono : Queen, Jeff Christie, Donovan, Elvis Presley, Johnny Rivers, Neil Diamond, David Cassidy, Kate Bush, Bread, Dawn, Linkin Park, Edith Piaf, Johnny Cash, Southern Comfort, Barry Ryan, Kincade, John Carter, Bob Dylan e compositori classici come Tchaikovsky, Sibelius, Grieg, Chopin, Smetana e altri. Ci vorrebbero ore di lettura per elencarli tutti.
5)Anche il videoclip del singolo è molto particolare. Ce ne parli?
Be’ il video della title track è un viaggio attraverso quel giorno di Settembre. Un modo per vivere dal di dentro la tragedia del crollo delle torri. Il testo parla di gente in attesa davanti ad una porta. Proprio questo è il punto centrale di tutto il brano: famiglie spezzate senza preavviso, bambini resi orfani, persone in attesa davanti a quella porta che mai più si aprirà e i loro cari, dall’altra parte, davanti alla stessa porta, incapaci di aprirla per tornare a casa perché morti. Trovo questa situazione di simbolico stallo, dolorosa e terribile. Nel video, la scena più emozionante e pregna di significato credo sia quella in cui si socchiude la porta. E’ quella, in breve, che da un senso a tutto il videoclip. Vedere per credere.
6)Tornando all’EP vi è una traccia alla quale sei più legato e perché?
Non c’è una traccia in particolare. Per me, ogni traccia ha un valore a sé.
7)Come hai vissuto /stai vivendo questo periodo di stop per la musica, anche piuttosto difficile e senza la possibilità di fare concerti?
Questo momento, credo sia devastante per tutti noi artisti. Il divieto di esibirsi ci toglie una parte basilare della nostra professione danneggiandoci non solo materialmente per la ovvia ripercussione economica ma anche psicologicamente. Parlo per me ora. Il contatto con il pubblico è irrinunciabile. E’ un ponte di emozioni, di contatto, di comunicazione, di fusione ed è ciò che mi dà la forza di continuare in questo mestiere difficile. Il sorriso, il calore, tutto lo spettro delle emozioni del pubblico mi trasportano in uno status di estasi, direi quasi, nel senso religioso del termine, quello status mentale che ti fa sentire e vedere tutto in completa beatitudine. Ho bisogno del mio pubblico. E mi manca moltissimo potermi esibire dal vivo. Spero vivamente che questa emergenza sanitaria finisca presto. Come la vivo? Ovviamente lavorando a nuovi brani, proseguendo la mia attività collaterale di scrittore e poeta. Un artista al quale si impedisce di esternare la propria arte che può fare se non accatastare nuove opere nel suo silo immaginario?
8)Cosa pensi dei talent, ne faresti mai uno? E, che rapporto hai con i social?
L’ho detto in altre interviste e lo ripeto qui. A parte l’età, che mi rende non idoneo, non amo i talent e mai parteciperei ad uno di essi nemmeno sotto tortura. Ritengo che gran parte della colpa dell’appiattimento attuale del mondo della musica sia da attribuire proprio a loro e buona parte anche alle case discografiche – alla fine, entrambi non cercano artisti ma prodotti e non lo dico solo io, ma anche una veterana come Joni Mitchell. Sia chiaro, non mi riferisco al sottobosco che pullula di musicisti eccelsi, ma al cosiddetto mondo musicale “Famoso”. D’altra parte chi può dimenticare o restare insensibile davanti al capolavoro di Mia Martini: “Stelle”. Quante volte anche io ho visto quelle stelle esibirsi in “tristi bar”!
9)Progetti futuri?
Al momento il mio progetto futuro è l’album “All the words we never said” di cui l’Ep fa parte. Questo album è molto ambizioso e potrei definirlo senza temere di essere smentito un “Album di protesta” perché tocca argomenti scottanti anche di attualità come la morte di George Floyd, il razzismo, i pregiudizi verso le donne ecc. L’album verrà registrato a Nashville e includerà uno staff tecnico e musicisti eccezionali. Ve li elenco e tanto per farvi capire di cosa sto parlando, aggiungo a lato del nome le loro collaborazioni:
Cominciamo con l’Engineer, Don Tyler, che è lo stesso ingegnere multi platino e Grammy che in precedenza lavorò presso i famosi Precision Mastering Studios di Los Angeles. Questo Signore è assolutamente fantastico e ha collaborato con Bob Dylan, Rolling Stones, Tina Turner, Stone Temple Pilots, James Blunt ecc. I musicisti invece sono: Snake Davis (ha collaborato con quello sconosciuto ragazzo di Liverpool chiamato Paul Mc Cartney, Sting e Tom Jones ); Ian Cameron, fiddler canadese vincitore di un Grammy. Wanda Vick, molto ricercata a Nashville, ha registrato per un impressionante elenco di artisti country, gospel e pop: Taylor Swift, Jason Aldean con Alabama, Billy Ray Cyrus, George Jones, Dolly Parton, Wynonna, Uncle Kracker, Trisha Yearwood ecc. Gordon Mote. Eccezionale pianista (più volte vincitore del premio pianista dell’anno) e cantante, che ha collaborato con Lee Greenwood, Alan Jackson, Alabama, Trisha Yearwood, Tanya Tucker, Porter Wagoner, Bill Gaither ecc. Il suo ultimo lavoro “Love love love”, è stato nominato al Grammy come miglior album Gospel. James Mitchell , grande chitarrista, è un punto fermo sulla scena di Nashville. Ha lavorato con Cole Swindell e Willie Nelson, tra gli altri. John Hammond: potete ascoltare le sue capacità di batterista in molti film, tra cui il successo d’animazione Anastasia, l’Apostolo di Robert Duvall, Il Principe d’Egitto di Steven Spielberg e Mr. Wrong di Ellen DeGeneres. Ha registrato o suonato con artisti famosi come Vince Gill, Jewel, Faith Hill, Olivia Newton-John, Barry Manilow, Whitney Houston, Miley Cyrus, Cliff Richard, Christopher Cross, solo per citarne alcuni. Duncan Mullins , oltre alla sua presenza in centinaia di dischi d’oro, Grammy o platino, ha lavorato con Jerry Reed (chitarrista di Elvis) Crystal Gayle, Amy Grant, Steve Wariner e Richard Marx. L’album sarà pubblicato sotto la AOK Records e prodotto da Adam e Angel Knight. In Adam ho davvero trovato quello che cercavo per anni, non solo per la sua professionalità e abilità nel campo della musica, ma per la sua comprensione, il rispetto e l’umanità che trasmette ad ogni incontro. È davvero un fratello per me. Beh, non pensate che questo album sia interessante dopo tutto?
Ascolta “Someone waiting at their door” su Spotify:
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