Ce li figuriamo (quasi) sempre e solo così: sporchi, chiassosi, incuranti delle regole, sprezzanti. Gli scenari che troppo spesso campeggiano sui media quando si parla di loro sono quelli dei famigerati “campi-nomadi”; roulotte fatiscenti, bambini spettinati e mal vestiti che mendicano, ragazzine dalle lunghe trecce che ti fissano con aria di sfida, uomini su macchinoni sgangherati che sorridono mostrando almeno un paio di denti d’oro. Questo è, nell’immaginario collettivo, il mondo dei Rom: una realtà che, a ben guardare, si rivela invece estremamente complessa, multiforme, variegata, straordinariamente ricca di cultura. In occasione della Giornata Internazionale dei Popoli Rom, vogliamo provare a sfatare quell’immagine stereotipata che tutti abbiamo nella mente, segnalando dieci esponenti di grande rilevanza storica e artistica appartenenti a questa etnia.
Édouard Manet, “Gitane avec une cigarette” (1862), Princeton University Art Museum. Fonte: Wikimedia Commons.
Non che un popolo per essere accettato e rispettato debba necessariamente annoverare tra i suoi membri personaggi celebri, ma il fatto che i popoli romanì ne abbiano così tanti e così importanti di certo fa riflettere. E, forse, le loro storie possono permetterci di ampliare almeno un po’ il nostro immaginario, affiancando altre rappresentazioni a quelle più gettonate dalle cronache e da una certa politica.
Il dottor Krogh, Nobel per la Medicina
Rom danese, Schack August Steenberg Krogh fu illustre medico, fisiologo e docente universitario. Nel 1920 ottenne il prestigioso riconoscimento dell’Accademia svedese grazie agli studi che lo portarono alla scoperta del meccanismo di regolamento dei capillari nei muscoli che sostengono lo scheletro. Numerosissimi i suoi contributi teorici e sperimentali alla medicina; portano il suo nome un principio, fondamentale nell’ambito della genomica funzionale, e un cratere lunare.
Charlie Chaplin, il genio del Cinema novecentesco
È solo nel 2011 che viene resa pubblica una lettera, giudicata da subito attendibile da uno dei figli, in cui emergono le sue origini: ebbene sì, Charlot era rom, più precisamente romanichals. Il grandissimo cineasta, divenuto una vera e propria icona, sarebbe nato in un “carrozzone” del West Midlands: in effetti, la sua nascita non è mai stata registrata nelle anagrafi del Comune di Londra. La nipote Carmen Chaplin, anche lei attrice e regista, è a lavoro su un documentario dedicato proprio alle origini della famiglia e alla “prospettiva rom” che ha informato tutta la produzione artistica del nonno. Che, a quanto pare, non solo è sempre stato consapevole della sua provenienza ma ne era anche decisamente fiero.
Kubitschek de Oliveira, fondatore di Brasilia
Presidente del Brasile dal 1956 al 1961, Juscelino Kubitschek de Oliveira era figlio di un’insegnante di origini rom cecoslovacche. Medico di formazione, fu proprio lui a concepire e promuovere l’organizzazione di Brasilia, la nuova capitale inaugurata nel 1960: il ponte che porta il suo nome è uno dei simboli della città.
Dudarova, la poetessa in lingua romanì
Poetessa, traduttrice, infaticabile educatrice e attivista per l’emancipazione femminile: Nina Dudarova fu una delle figure intellettuali più importanti della Mosca di inizio Novecento. L’impegno sociale di questa donna, tutto dedito alla valorizzazione e alla trasmissione del patrimonio dei rom di Russia, con attenzione soprattutto all’aspetto linguistico, fu straordinario ed encomiabile.
Django, il padre indiscusso dello swing
Fondatore del jazz europeo, musicista dotato di un talento indescrivibile, Django Reinhardt nacque nel 1910 in una roulotte nei pressi di un paesino belga ma la sua era una famiglia sinta itinerante perciò crebbe prevalentemente in Francia. Imparò sin da bambino a suonare il banjo e, quando a soli 18 anni, a seguito di un incendio che colpì il caravan in cui viveva, rimase monco di una gamba e di due dita della mano sinistra, anziché abbandonare la sua passione per la musica, si dedicò alla chitarra, inventandosi una tecnica vera e propria; la sua vicenda fu peraltro d’ispirazione per un altro giovane musicista straordinario ovvero Tony Iommi, polistrumentista e fondatore dei Black Sabbath, che perse due dita della mano destra, cadendo perciò in una profonda depressione. Ebbene, fu proprio la storia di Django e l’ascolto dei suoi dischi a incoraggiarlo a riprendere a suonare. Dotato di un virtuosismo pazzesco, Reinhardt seppe fondere la tradizione musicale gipsy con i ritmi afroamericani in una sintesi swing irresistibile.