CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO ROMA 2019: il live report di Francesca Amodio
Enorme successo per la ventinovesima edizione del “concertone” capitolino di Piazza San Giovanni, quest’anno appuntamento irrinunciabile per ben 1.210.000 spettatori che hanno seguito la consueta diretta su Rai3, pubblico mai come quest’anno giovanissimo, che ha spopolato sui social e soprattutto nella suggestiva piazza romana, sacra e profana allo stesso tempo come ogni primo giorno di maggio. Una giornata preannunciatasi particolarmente uggiosa e che ha mantenuto la sua promessa infatti, non ha però fermato la folla oceanica che, come da tradizione, già dalle prime ore del mattino stoicamente si guadagna la transenna, porto sicuro dopo ore di viaggi in treno dalle più disparate stazioni dello Stivale. Il cast del Primo Maggio Roma 2019, che ha visto Massimo Bonelli in qualità di direttore artistico, Cristiano D’Alisera alla regia e Lodo Guenzi e Ambra Angiolini alla conduzione, riconfermati dopo i positivissimi consensi ricevuti nella precedente edizione, non ha scontentato proprio nessuno, dalle giovani ugole nuove adepte, figlie della trap di Ghali, dell’indie slavato di Gazzelle, del rap di Ghemon, del pop rap di Carl Brave, a quelle stagionate della vecchia scuola, che guardinghe, ma anche incuriosite, hanno ascoltato intrigate questi nuovi linguaggi musicali e d’espressione: da Motta, oramai non più promessa ma da tempo certezza, faro e figlio di un rock d’autore sui generis che al tempo stesso rilegge con maestria quello passato, ad Achille Lauro, stasera in una forma particolarmente smagliante, con un sound nuovo di zecca che sembra rifuggire le logiche semplicistiche della trap per abbandonarsi al rock, passando per i giovanissimi, ossia i La Rua, a cui è affidato l’oneroso compito dell’apertura del concerto, i vincitori del contest 1M Next, ossia Giulio Wilson, I Tristi e Margherita Zanin, per continuare poi con Valentina Parisse, Ylenia Lucisano, Fulminacci, Eman, Lemandorle, Izi, Dutch Nazari, fino ai più navigati Eugenio in Via Di Gioia, La Municipàl, Pinguini Tattici Nucleari, Anastasio, Coma_Cose, Rancore, Canova. Una menzione particolare la merita il quintetto de La Rappresentante di Lista: da tempo non si vedeva sui palchi un carisma vocale e interpretativo così disperato e sublime come quello di Veronica Lucchesi, voce tormentata, limpida e cristallina come poche. Dopo le ottime esibizioni di Bianco feat. Colapesce, tra i cantautori più sensibilmente accorti del panorama giovanile attuale, Fast Animals And Slow Kids, tra le band più rappresentative di un certo qual punk-rock rinnovato degli anni zero, urlato con profondità ed eleganza, si arriva agli Ex-Otago, band genovese fra le scoperte più incredibilmente sorprendenti di quest’ultima decade musicale italica, che, guidati dallo charme del leader Maurizio Carucci, hanno negli anni sperimentato incessantemente, fino ad arrivare alla compiutezza di un linguaggio sonoro semplice solo nella più mera apparenza, che in realtà cela messaggi di spessore e mai banali, con una musica che fa pensare anche dentro ad una discoteca; si prosegue con The Zen Circus, band toscana dallo stile unico ed oramai conclamato che unisce il lirismo al rock, al sempre amatissimo e, ad onor del vero, sempre in formissima, Omar Pedrini, ex leader degli indimenticati Timoria, fra i pionieri del rock in italiano nei gloriosi eighties, all’attesissimo ospite internazionale, Noel Gallagher con i suoi High Flying Birds, collettivo cangiante che segna il new deal brit-pop dell’ex Oasis dopo lo scioglimento della storica band britannica. L’esplosiva serata capitolina prosegue con l’esibizione del leader degli Afterhours Manuel Agnelli accompagnato dal violino del suo Rodrigo D’Erasmo, che esordisce con uno dei brani più toccanti della memorabile band che ha istituito i dettami dell’indie rock in italiano, “Ballata per la mia piccola iena”, fino ad arrivare quindi ad altre due colonne portanti di un certo tipo di cantautorato, declinato nell’elettronica dei Subsonica e nel disincanto del pop di Daniele Silvestri, sempre e comunque sapientemente fuori dal coro. La chiusura, affidata agli intramontabili Negrita in dirittura d’arrivo per poi culminare nell’esibizione de L’Orchestraccia, ensemble romano verace che con maestria ha saputo ricamare nuove texture della canzone dialettale sentimentale, è accolta da un pubblico irriducibilmente festoso nonostante le avversità metereologiche, che apprezza la conduzione ironica, serena e pacata di due professionisti del mestiere, che con tatto e senza retorica discutono di diritti dei lavoratori, di migranti, di ultimi, e accolgono con grande cuore uno degli interventi più difficili di questa lunga diretta in musica, quello di Ilaria Cucchi, che con partecipata commozione ricorda la morte immonda dell’amato fratello Stefano. Una giornata intensa, profonda, pregna di significato, sentitamente partecipata, tutti motivi per cui non vale neanche troppo la pena soffermarsi sulle sterili polemiche fomentate da chi ha lamentato l’assenza di donne del cast, a cui si potrebbe tranquillamente rispondere che, grammaticalmente parlando, la musica è donna e quindi generatrice di esseri umani, categoria non discriminatoria di genere. Pertanto, lo spettacolo di Piazza San Giovanni null’altro è stato che lo specchio delle inclinazioni di un Paese, per giunta pure di gusto e di un livello spaventosamente alto, di cui andare quindi fieri ed orgogliosi.
Francesca Amodio
(con la collaborazione di P.R.)