Le Luci della Centrale Elettrica (2017)
Ho già recuperato mio materiale d’epoca relativo a Le Luci della Centrale Elettrica, nome d’arte scelto da Vasco Brondi per il suo progetto cantautorale: la recensione del primo album e un’intervista realizzata poco prima dell’uscita del secondo. Non essendomi purtroppo occupato del terzo album, estraggo dall’archivio quanto scrissi quasi un anno e mezzo fa a proposito del quarto, non scendendo più di tanto nello specifico ma approfittandone per dichiarare una volta in più il mio sincero apprezzamento per l’artista di Ferrara, che – lo ammetto senza alcun problema – mi trovo a riascoltare piuttosto spesso.
Terra
(Cara Catastrofe)
Nove anni esatti fa, con Canzoni da spiaggia deturpata, Vasco Brondi alias Le Luci della Centrale Elettrica entrava con pieno merito nella storia della musica italiana, nello specifico in quell’ambito a mezza strada fra il rock e la canzone d’autore. Non sembri un’affermazione esagerata: al di là dell’approccio istintivo, spigoloso e inusuale, quel disco d’esordio ha segnato nel profondo la scena nazionale cosiddetta alternativa, assurgendo al rango di modello – stilistico e ideale – per un’infinità di nuovi aspiranti protagonisti e divenendo, di fatto, identificativo di una generazione. Il percorso seguente, comunque in buona parte condizionato dal desiderio di fedeltà alla formula e dalla difficoltà di partorire lavori altrettanto dirompenti e cruciali, si è poi rivelato più valido di come si potesse a ragione temere, con dischi apprezzabili quali Per ora noi la chiameremo felicità e Costellazioni; adesso, con il quarto capitolo della saga, appare ormai chiaro che con il trentatreenne ferrarese si dovrà continuare a fare i conti. Per fortuna, almeno a parere del sottoscritto.
I dieci episodi di Terra fotografano al meglio la poetica matura di Brondi. Sul piano strutturale, manca per forza di cose – non è novità – l’urgenza abrasiva del debutto, ma la ricchezza di riferimenti (talvolta di sapore esotico) e di “colori” garantiscono maggiore eclettismo e godibilità, a dispetto di un canto infonfondibile dove le declamazioni mai troppo enfatiche si stemperano efficacemente in trame più modulate; il tutto rimane però al servizio di testi atipici ma coinvolgenti a livello di visioni surreali, concetti di spessore dichiarati senza ricorrere agli slogan, calembour e (moderato) citazionismo. Una gran bella sintesi, ispirata e personale oltre che dotata di capacità ipnotico-suggestive delle quali è facile innamorarsi.
Tratto da AudioReview n.386 dell’aprile 2017