Radiodervish (2002-2018)
Pubblicato il ottobre 17, 2018 da federicoguglielmi
Per la prima volta in cinque anni è mezzo è capitato che una mia recensione per Blow Up sia rimasta fuori dal giornale per due mesi di fila, e risalendo il disco all’inizio dell’estate direi che non è il caso di pubblicarla più avanti. Dato che dei Radiodervish non avevo finora (ri)proposto nulla, mi pare allora sensato recuperarla qui sul blog, assieme alle altre due sulla band barese che avevo scritto sul Mucchio ormai un bel po’ di anni fa.
Centro del mundo
(Il Manifesto)
Il disco qui preso vanta il marchio de Il Manifesto, a garanzia di unimpegno che non è solo artistico ma anche sociale e/o politico, e l’indole alla rivisitazione in chiave personale e (più o meno) moderna di sonorità di area etno-folk. Nel caso di Nabil Salameh e Michele Lobaccaro, noti collettivamente come Radiodervish, le “radici” sono quelle della cultura araba e mediterranea, metabolizzate e interpretate alla luce di una creatività dove la ricerca di atmosfere esotiche non punta a suscitare superficiale stupore ma è invece parte integrante di un processo intimo, legato a filo doppio alla spiritualità ma non per questo disgiunto dalle cose terrene.
Come già nel precedente Lingua contro lingua del 1998, nel nuovo Centro del mundo i brani del gruppo italo-palestinese sono costruiti su trame sostanzialmente acustiche, seppure sottoposte a trattamenti elettronici – in
cabina di regia, assieme a Mauro Andreolli, siede Roberto Vernetti – che le valorizzano al meglio senza snaturarle né appesantirle; strumenti classici come pianoforte, viola, violoncello e violini, e tradizionali come il bouzouki, la fisarmonica e l’organetto diatonico, interagiscono così con tastiere (suonate da Alessandro Pipino, che della formazione è il terzo compositore/arrangiatore), basso, batteria e chitarra elettrica (affidata in tre episodi dall’ex CCCP e C.S.I. Massimo Zamboni) in un abbraccio sempre avvolgente alla cui morbidezza contribuisce in modo determinante la voce mesmerica ed evocativa di Salameh. In totale dodici tracce, due delle quali proposte in due versioni (le seconde, definite “pop”, sono caratterizzate da una decisa accentuazione dell’elemento ritmico), perfette nell’esaltare eleganza, fascino e spessore emotivo di una formula che – al di là di qualche minima assonanza con il Battiato più misticheggiante – è oltretutto squisitamente originale anche grazie a liriche in italiano, arabo, inglese, francese e spagnolo. A completare il quadro, una confezione ricchissima e un secondo CD (intitolato Acustico) con otto riletture unplugged di cavalli di battaglia dei Radiodervish e della band di provenienza di Salameh e Lobaccaro, gli Al Darawish.
Tratto da Il Mucchio Selvaggio n.504 dell’8 ottobre 2002
Link: https://lultimathule.wordpress